Catia Barone
I l meccanismo pensionistico delle Casse dei professionisti rischia di incepparsi e scatenare una logorante guerra tra “padri” e “figli”. Ad accendere la miccia è stata la recente sentenza 17892 della Corte di Cassazione che ha salvato i diritti acquisiti e reso vana una norma contenuta nell’ultima Legge di Stabilità. In precedenza, infatti, il governo Monti aveva introdotto una rivisitazione del metodo di calcolo misto (contributivo e retributivo) per pensioni che erano già in buona parte maturate. Per intenderci, con questo nuovo sistema l’utente non poteva percepire più di quanto versato durante gli anni di lavoro. Ora, la Cassazione ha ritenuto tutto ciò non conforme alle norme, accettando il ricorso di un ragioniere che aveva chiesto di andare in pensione secondo il vecchio sistema retributivo. ‘«Per noi adeguare il calcolo alle prescrizioni della Corte significa sborsare ogni anno oltre 17 milioni di euro in più spiega Luigi Paglialuca presidente della Cassa nazionale di previdenza dei ragionieri – e se tutti i ragionieri pensionati decidessero di fare ricorso dovremmo pagare 200 milioni di euro di arretrati (ovvero circa il 10% del nostro patrimonio). Piuttosto che continuare a pagare le pensioni in questo modo – tuona Paglialuca – porto i libri in tribunale»’. Questo sistema mette a serio rischio non solo la sostenibilità dell’Ente, ma anche le prospettive dei giovani: ‘«Ci si è resi conto troppo tardi – sostiene Paglialuca – che il calcolo retributivo non poteva reggere a lungo ed ora ne paghiamo le conseguenze. Oggi, a parità di reddito, un pensionato con il vecchio sistema previdenziale prende 3.500 euro, mentre il futuro pensionato arriverà a mala pena a 800. L’unica soluzione – continua il presidente della Cassa – è fare dei correttivi, ma questa sentenza ce lo impedisce». Dal punto di vista etico le questioni sono delicate. Accontentare i padri, che stanno cercando di arrivare alla pensione dopo anni di sacrifici, o pensare ai giovani tutelando i loro interessi futuri? Per Luigi Paglialuca l’unica risposta possibile è «chiedere a chi ha preso tanto di ricevere un po’ di meno, per lasciare qualcosa in più a chi è destinato avere una pensione risicata». Anche se la sentenza è rivolta al caso dei ragionieri, i principi che stabilisce potrebbero coinvolgere anche le altre casse (i tagli valgono solo per il futuro e gli interventi retroattivi non sono giustificati nemmeno da un interesse generale). Ma chi rischia di più? Lo abbiamo chiesto a Alberto Brambilla, presidente del Cts di Itinerari Previdenziali: «Tutte le casse, chi più chi meno, sono esposte a possibili ricorsi. Ovviamente, tutte tranne quelle relative al decreto 103 del 1996 (periti, biologi, agronomi attuari, infermieri professionali) istituite con il metodo di calcolo contributivo. Questo perché le riforme sono state fatte da avvocati, dottori commercialisti, medici consulenti del lavoro, geometri giornalisti e altri enti. D’altra parte, nel 1996-1997, anche il Governo ha alzato di colpo il requisito di anzianità contributiva per i dipendenti pubblici dai famosi 15 anni sei mesi e un giorno a 35anni, una mossa necessaria altrimenti il sistema sarebbe esploso. Insomma siamo su una polveriera. Ecco perché tutti dobbiamo pensare, compresa la Cassazione, che o si inizia correre oppure il sistema avrà notevoli problemi di sostenibilità». Lo scompiglio, dunque, si crea a tutti i livelli. «Il vero problema – dice Renzo Guffanti, Presidente della Cassa di previdenza dei dottori commercialisti – non è se le casse siano preoccupate per la sostenibilità delle pensioni, ma che non possiamo rispettare contemporaneamente due principi opposti, uno fissato dal potere legislativo e l’altro da quello esecutivo». «Lo Stato – continua Guffanti – impone alle Casse di dotarsi di regole in grado di garantire una sostenibilità finanziaria a 50 anni dovendo contare sulle proprie forze e senza alcun aiuto da parte delle finanze pubbliche, mentre la sentenza della Cassazione pretende l’intangibilità di regole, ereditate dalla gestione pubblica, che mettono a rischio il rispetto dei vincoli previsti dalle norme di privatizzazione. Il mondo delle Casse – sottolinea il presidente dell’ente – dovrebbe quindi pagare conti, con risorse limitate, che non si può permettere. Nell’intento di tutelare l’interesse del singolo pensionato si rischia di minare l’interesse generale, esaurendo tutte le risorse. Insomma, un sistema diabolico». In ogni caso, ciascun ente ha le sue peculiarità: «La nostra cassa resta per ora al riparo da rischi imminenti – spiega Domenico Posca, presidente dell’Unione italiana dei commercialisti – perché siamo passati al sistema contributivo prima di altri. Ciò non toglie, però, che anche da noi possano verificarsi casi simili a quello del ragioniere, mettendo ulteriormente a rischio il sistema». Ma a preoccupare di più è tenuta della Cassa a 50 anni: «Gli iscritti sono sempre meno, i redditi diminuiscono, e il basso tasso di sostituzione del 20 per cento porta a una pensione pari a un quinto del reddito medio. Dulcis in fundo – dice Posca – ci sono anche i tagli in stile spending review imposti dall’alto. Le casse private sono infatti passate nelle classificazioni Istat degli enti pubblici. Questo significa che anche le casse, benché private, subiscono gli stessi tagli degli enti pubblici – conclude il presidente di Un.i.co. (Unione nazionale commercialisti) -. Tradotto in soldoni, ancora meno entrate». Qui sopra, gli investimenti delle casse previdenziali private per tipologia di asset: la quota maggiore è dei Fondi e Sicav