di Andrea di Biase
Plusvalenze da cessione di partecipazioni per 240 milioni (211 milioni al netto delle svalutazioni), minori imposte, scese da 157,6 a 39,6 milioni grazie all’applicazione della Pex (la Participation exemption, che consente l’esonero dalla tassazione del 95% dei capital gain realizzati su partecipazioni detenute da più di un anno) e un maggior apporto dalleGenerali, consolidate con il metodo del patrimonio netto e il cui utile viene registrato pro-quota (261 milioni) nel conto economico del gruppo Mediobanca.
Può essere sintetizzato così l’esercizio al 30 giugno 2014 della banca guidata da Alberto Nagel, chiuso con un utile consolidato di 465 milioni (dopo il rosso di 176 milioni dello scorso anno) e il ritorno al dividendo (ai soci andrà una cedola di 0,15 euro per azione) pur a fronte di risultati dell’attività bancaria che, a detta dello stesso ad, non sono ancora soddisfacenti, almeno sul fronte della redditività. Fatta eccezione per la divisione private banking (Banca Esperia e Cmb), che ha chiuso con un utile di 50,7 milioni, e per il credito al consumo, dove Compass ha conquistato la leadership in Italia con una quota di mercato dell’11,8% (anche se l’utile è sceso da 72,3 milioni a 48,4 milioni), sia l’attività bancaria corporate sia il retail di CheBanca! hanno inciso negativamente sui risultati del gruppo di Piazzetta Cuccia. Ma si tratta di un aspetto in parte scontato, visto che sia nel corporate & investment banking, dove Mediobanca sta consolidando l’espansione del proprio business all’estero, concentrandosi allo stesso tempo su attività a minor consumo di capitale, sia nel retail, dove CheBanca! ha lanciato un importante piano di investimenti, sono ancora aperti i cantieri avviati lo scorso anno con il piano d’impresa al 2016.
Il ricorso alla componente straordinaria rientra dunque nella roadmap indicata da Nagel nel giugno dello scorso anno, che prevedeva la dismissione di asset per 1,5 miliardi e a un anno dal piano Mediobanca ha già ceduto partecipazioni per 843 milioni, comprese parti delle quote in Rcs (dal 14,93 al 6,2%) e in Telco (dall’11,62 al 7,34%), che saranno completamente smobilizzate entro il giugno del 2015.
E se è vero che al termine dell’orizzonte del piano, quando l’unica partecipazione stabile che rimarrà in portafoglio sarà quella nelle Generali, sarà sempre più difficile per Mediobancafare utili con i capital gain, è altrettanto vero che l’aspettativa del management rimane quella di portare i ricavi dell’attività bancaria oltre la soglia dei 2 miliardi. In questo senso, i risultati dell’esercizio 2013/14 sembrano essere confortanti. Rispetto allo scorso anno, infatti, i ricavi commissionali della sola divisione corporate & investment banking sono cresciuti del 13,6% a 225 milioni. Un risultato raggiunto anche grazie al buon lavoro fatto nell’equity capital markets (aumenti di capitale e collocamenti azionari), specie nel settore bancario e finanziario, dopo l’istituzione di un apposito team dedicato (oggi formato da 35 persone) operante nei mercati dell’Europa e del Medio oriente. Una maggiore proiezione internazionale che emerge anche nella ripartizione dei ricavi per aree geografiche, con il peso delle attività estere salito dal 31 al 48% del totale (dal 19 al 24% per i soli ricavi da commissioni).
In attesa che il cambiamento del business mix dei ricavi sia completato secondo quanto previsto dal piano, i proventi straordinari realizzati nell’esercizio appena concluso sono dunque serviti a stabilizzare il conto economico della banca, che ha così potuto spesare senza eccessive apprensioni le rettifiche nette sui crediti, salite da 506,5 a 736 milioni, a causa principalmente di una rettifica da 200 milioni sull’esposizione nei confronti del gruppo Burgo. I capital gain realizzati nell’esercizio hanno dunque consentito di aumentare gli indice di copertura dei crediti deteriorati (salito al 50%) e delle sofferenze (al 67%), senza pesare sui coefficienti patrimoniali del gruppo con il Common equity al 30 giugno pari all’11,1% (sarebbe al 12,5% con Basilea 3 pienamente operativo).
In vista del rinnovo del consiglio di amministrazione all’assemblea del 28 ottobre, con il patto di sindacato in agenda per il 29 settembre, si starebbe intanto delineando uno snellimento del board a 18 componenti (dai 20 attuali). Per la vicepresidenza si profilerebbe una conferma di Marco Tronchetti Provera, che potrebbe venir proposto da Vincent Bolloré (secondo azionista proiettato all’8%), ottenendo il gradimento degli altri soci non bancari. L’altro vicepresidente verrà invece designato da Unicredit (primo socio con l’8,7%) e l’attesa è che venga designata una donna. Il candidato naturale sembra essere Elisabetta Magistretti, già in consiglio Mediobanca come indipendente, e a lungo direttore centrale di Unicredit, anche se non risulta che l’istituto di Piazza Gae Aulenti abbia già deliberato in tal senso. Il rispetto della parità di genere (almeno un terzo della lista devono essere donne) potrebbe poi riflettersi anche nei nomi dei manager interni nominati nel consiglio. È scontata la conferma di Nagel, del presidente Renato Pagliaro e del direttore generale Francesco Saverio Vinci. Nel cda potrebbe entrare poi Alexandra Young (46 anni), responsabile delle risorse umane della banca. Una rotazione dei manager nel board sembra comunque nell’ordine delle cose, con l’attesa che vi vengano rappresentate le attività più significative della banca. (riproduzione riservata)