Ora è caccia aperta al responsabile. Un pasticcio, quello andato in scena ieri al senato con il ritiro delle norme sul pensionamento dei docenti nella scuola, simile per dimensioni a quello che fu innescato, sempre sulla scuola e sempre a seguito di un braccio di ferro con il Tesoro («disguido informativo», provò a declassare l’allora ministro dell’istruzione, Maria Chiara Carrozza), con la decisione prima di dare e poi di revocare l’aumento per anzianità di servizio ad alcuni docenti.
Per il premier, Matteo Renzi, che dell’efficienza del proprio governo ha fatto bandiera, proprio una brutta figura, che mette a nudo quantomeno un’assenza di coordinamento nell’azione dell’esecutivo in parlamento.
La motivazione del ritiro della norma, introdotta alla camera e che consentiva a circa 4mila docenti di andare in pensione con qualche anno di anticipo rispetto a quanto previsto dalla riforma Fornero (i cosiddetti docenti di quota 96), è che semplicemente non ci sono le coperture, e il ministro della pa, Marianna Madia con emendamento del governo l’ha soppressa. Ma già alla camera, al momento del voto sia in commissione che in aula, la norma era priva della bollinatura della Ragioneria generale dello stato. Condizione che avrebbe dovuto sconsigliare il via libera e che evidentemente il governo e i partiti di maggioranza, dal Pd a Ncd, contavano fosse sanata al senato. E invece, in prima commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, la doccia fredda: la Ragioneria ha scritto per dire che no, la copetura non c’è per 45 milioni di euro.
Insomma, sembra proprio avesse ragione l’ormai ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, che aveva detto chiaro e tondo che la coperta era corta e che proprio sui 4mila docenti della scuola c’erano problemi di copertura. Ora c’è da capire se della carenza di relazione positiva alla camera fosse stato avvertito il ragioniere generale, Daniele Franco, e il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, oppure se anche in questo caso si sia trattato di un disguido tecnico. Un disguido che fa gridare allo scandalo i diretti interessati e i sindacati tutti:«Siamo su scherzi a parte?», si chiede il segretario della Cisl scuola, Francesco Scrima, «questa è una beffa di stato», dice Rino Di Meglio, numero uno della Gilda, «il governo è stato messo in ginocchio dal superpotere burocratico», ragiona il numero uno della Uil scuola, Massimo Di Menna, «si intervenga con un provvedimento ad hoc», chiede Marco Paolo Nigi, segretario Snals-Confsal, «il governo trovi le risorse tagliando dove ci sono gli sprechi», attacca Mimmo Pantaleo, numero uno della Flc-Cgil.
A tentare di porre rimedio alla figuraccia sono intervenuti il presidente della commissione istruzione del senato, Andrea Marcucci, e la capogruppo del pd Francesca Puglisi: «Il governo interverrà con un decreto ad hoc». Già, perché, nel decreto pa non c’è più spazio per nessuna modifica, il testo deve essere approvato, pena la decandenza, entro il 23 agosto con un nuovo passaggio alla camera, «non c’è più tempo», ha detto la Madia, «sulla scuola non si poteva fare diversamente».
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