di Lucio Sironi
Nell’Indagine 2014 sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani (progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo) uno degli aspetti che colpiscono di più è la preoccupazione predominante per il futuro dei figli. È per loro che spesso si risparmia, ma rispetto a questa paura ci si sente sempre vulnerabili. Il punto centrale della questione è che di fronte a una preoccupazione di questo tipo non solo il risparmio è l’unica arma a disposizione dei genitori, ma la minaccia è così generica, l’incertezza così indeterminata che la risposta rischia di trasformarsi in un risparmio prolungato, senza confini temporali: più lo si fa e più ci si sente attrezzati per un’emergenza che chissà se e quando potrà dirsi riassorbita. L’unica difesa psicologica dei capifamiglia, che può procurare loro un po’ di tranquillità, sarebbe l’atteggiamento suggerito dal cantante Sting, quello che lui stesso dice di aver adottato nei confronti dei suoi figli: dire loro di non contare su alcuna eredità e di prepararsi pertanto a una normale vita di lavoro, come qualsiasi altro loro coetaneo. Nobile, e di sicura presa, l’intento educativo che spinge il cantante inglese a predisporre in questo modo il futuro dei suoi figli. Ma se il fine merita di essere condiviso, è anche comprensibile che un genitore patrimonialmente meno attrezzato di Sting (che alla fine qualche soldo alla discendenza è probabile finisca per lasciarlo) sia disposto a fare qualche sacrificio in più per mettere da parte sia pur poche risorse che aiutino ragazzi e ragazze ad affrontare con meno angosce i tempi difficoltosi che si preannunciano.
Conseguenza a livello macro di questa spinta verso un maggiore risparmio è già da tempo e continuerà a essere un calo dei consumi, effetto dei sacrifici necessari per risparmiare di più. Maggiore risparmio si traduce però anche in un aumentato flusso di raccolta per banche e reti, come si è visto anche in giugno. Insomma, è il paradosso di un’industria del risparmio gestito che riesce a crescere mentre attorno tutto pare diventare più asfittico. Buon per i promotori finanziari, nelle cui mani però (assieme a quelle dei gestori) ricade una responsabilità crescente: quella di restituire un patrimonio cresciuto nel tempo. Per questo è solo con rammarico e preoccupazione che si guarda al forte inasprimento della tassazione che sta colpendo un po’ tutti gli strumenti di risparmio, come noto con la sola vistosa eccezione dei titoli di Stato. Perché questo non può essere relegato semplicemente come un problema che riguarda il solo investitore. Non è così, dal momento che minori guadagni rispetto a quelli offerti da Bot e Btp sono una mina potente che può incrinare la buona relazione col cliente: come, non siete stati capaci di guadagnare più di un titolo di Stato? Se il nodo non è ancora giunto al pettine è soprattutto perché oggi i rendimenti offerti da questi strumenti sono ai livelli minimi dall’introduzione dell’euro. Ma alla prima inversione di tendenza la questione tornerà a scottare, dal momento che una tassazione più che doppia come quella che colpisce gli strumenti concorrenti di Bot e Btp (26% contro il 12,5%) finirà molto spesso per fare la differenza.
In altre parole, per i pf si tratta di muoversi per difendere i guadagni dei propri clienti e di riflesso anche i propri. Come detto il momento è favorevole alla produzione di risparmio e i tassi bassi danno una mano. Ma poi? Meglio pensare per tempo a una controffensiva, altrimenti i Bot people di antica memoria torneranno in auge grazie all’innegabile leggerezza fiscale di cui le emissioni di Stato hanno cominciato a usufruire rispetto ai loro concorrenti.