I sindaci devono vigilare anche sulle operazioni infragruppo quando gli importi delle stesse, troppo elevati, avrebbero dovuto far presumere la fittizietà delle iniziative. Il danno adducibile ad amministratori e sindaci può essere ragionevolmente quantificato nella somma delle operazioni illecite sulle quali l’organo di controllo non ha esercitato la vigilanza richiesta. È quanto emerge dalla sentenza della Cassazione civile n. 13514 depositata lo scorso 13 giugno che conferma le decisioni del tribunale di Trieste e della Corte d’appello del capoluogo friulano.
Il fatto. A seguito del fallimento di una società per azioni il curatore fallimentare esercita azione di responsabilità nei confronti di amministratori e componenti dell’organo di controllo per il periodo 2002/2003. L’addebito riguardava alcune operazioni (i cui dati erano stati acquisiti in sede penale) di importo rilevante (964.161 euro e 538.800 euro) con bonifici a favore di società appartenenti allo stesso gruppo, a fronte di operazioni rivelatesi, poi, fittizie. In relazione a dette fattispecie, il pregiudizio subito dalla società viene determinato (in primo grado) nella somma delle due operazioni contestate, con addebito di tre quarti della responsabilità agli amministratori e del residuo quarto ai sindaci. Secondo le corti di merito, nel caso di specie era ravvisabile una violazione del dovere di vigilanza, dell’organo di controllo, in relazione all’inerzia manifestata a fronte della censurabile attività svolta dagli amministratori.
La pronuncia. La Cassazione, conforme ad un orientamento ormai pacifico (si veda a riguardo Cass. 27/5/2013 n. 13081; Cass. 29/10/2013 n. 24364; Cass. 14/10/2013 n. 23223; Cass. 4/5/2012 n. 6788) ritiene che «_ ai fini della configurabilità della violazione del dovere di vigilanza imposto ai sindaci, non è necessaria l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo invece sufficiente che i componenti dell’organo di controllo non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito a fronte di atti di dubbia legittimità e regolarità, e non abbiano quindi posto in essere quanto necessario per assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità riscontrate, ovvero denunziando i fatti al pm, per consentire l’adozione delle iniziative previste dall’art. 2409 c.c.». Altresì, corretta secondo la Suprema corte è risultata la quantificazione del danno richiesto ad amministratori e sindaci nell’ambito dei giudizi di merito (contestata dai ricorrenti), in quanto il criterio equitativo è risultato nel caso di specie ininfluente. Quest’ultimo, infatti, è un criterio generale (non impiegato nel concreto), mentre è legittimo che la Corte abbia «… quantificato il danno in questione attribuendo un valore equivalente alla sommatoria delle operazioni considerate illecite, e quindi, utilizzando un parametro oggettivamente individuato».
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