Pagine a cura di Tancredi Cerne
Mentre gli Stati Uniti mettevano a punto un proprio modello per tagliare le gambe all’evasione internazionale (si vedano altri servizi nelle pagine seguenti), il resto del mondo giocava a mosca ceca. Prima giocando la carta delle liste nera, grigia e bianca dell’Ocse. Poi tornando sui propri passi e ammettendo il fallimento di un sistema di accordi bilaterali facilmente eludibile attraverso la sottoscrizione di intese fiscali farlocche tra gli stessi centri offshore.
E così, passavano gli anni e si perdevano centinaia di miliardi di tasse. Fino a quando il Global Forum dell’Ocse non venne investito di un nuovo mandato: mettere a punto uno standard fiscale condiviso a livello sovranazionale per lo scambio automatico delle informazioni. Disegnato sulla falsa riga del Fatca americano, il documento è arrivato puntualmente il 6 maggio scorso a Parigi dove è stato firmato da un lungo stuolo di Paesi: tutti e 34 i membri dell’Ocse, ma anche Singapore, Cina, Brasile e Costa Rica. Mentre altri, come Panama e Dubai, potrebbero seguire nei prossimi mesi, almeno per evitare di finire nella nuova lista nera che l’organizzazione di Parigi si appresta a stilare entro la fine dell’anno e che comporterà anche sanzioni da parte del G20. «L’impegno da parte di così tanti Paesi per adottare i nuovi standard globali, e farlo velocemente, è un altro passo avanti per assicurarsi che le frodi fiscali non avranno più un luogo dove nascondersi», ha spiegato il segretario dell’Organizzazione, Angel Gurria, usando toni espliciti contro gli evasori. «La frode fiscale e l’evasione non sono crimini senza vittime: privano i governi di entrate necessarie per far ripartire la crescita e minano la fiducia dei cittadini nell’equità e integrità del sistema fiscale». Ancora una volta, tuttavia, la via perseguita dall’Ocse appare farraginosa rispetto alle maniere forti di Washington. Il nuovo accordo non fissa, infatti, alcun termine entro il quale adeguarsi concretamente agli standard internazionali di scambio automatico, ma soltanto una data ultima indicata negli accordi precedenti per riportare nel Paese di origine i dati degli investitori: settembre 2017. Unica consolazione, d’ora in avanti le banche dei Paesi firmatari non potranno più accettare denaro senza la comunicazione di dichiarazione assolta fatta sotto la responsabilità, anche penale dei propri clienti. «La richiesta di informazioni potrà comunque iniziare a partire da dicembre del 2015», hanno assicurato dall’Ocse ribadendo come questo accordo sarà capace di infliggere un duro colpo ai centri offshore. Primo fra tutti, la Svizzera che con la firma dell’intesa di inizio maggio ha di fatto sancito la fine di un’era, stringendo sempre di più il cerchio intorno agli evasori che avevano fatto della federazione elvetica il loro paradiso fiscale all’interno della vecchia Europa. Una mossa in qualche modo attesa da Berna, su cui il governo elvetico stava lavorando da tempo, portando avanti trattative sia con i singoli Paesi, a cominciare dall’Italia, che a livello internazionale. Non a caso l’associazione bancaria svizzera ha tenuto a precisare che la decisione non arriva come una sorpresa, ma è anzi stata attentamente valutata dagli istituti elvetici per un anno. Per questo il criterio essenziale per aderire è stato quello della reciprocità e della ricerca di «soluzioni adeguate per gli asset fino a oggi non soggetti a tassazione.
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