Tra gli arresti compiuti nell’ambito dell’inchiesta sul Mose c’è anche un nome molto noto alle cronache finanziarie: Roberto Meneguzzo, fondatore e ad di Palladio Finanziaria. La società di partecipazioni, con sede a Vicenza salì alla ribalta nel 2012 quando tentò, in cordata con la Sator di Matteo Arpe, di conquistare Fondiaria-Sai contendendone il controllo a Unipol ed entrando in rotta di collisione con Mediobanca e Unicredit.
A Meneguzzo vengono contestati, con altri, i reati di corruzione e rivelazione e utilizzo di segreto d’ufficio. Nell’ordinanza di arresto emerge un suo ruolo come contatto tra il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, per arrivare al consigliere politico dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, Marco Milanese, e influire sui finanziamenti al Mose. Meneguzzo, poi, avrebbe fatto da tramite, «a conoscenza dell’illecita finalità perseguita» stando ancora all’ordinanza, tra Mazzacurati e il generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante. Nato a Malo (Vicenza), 58 anni, Meneguzzo era rimasto quasi nell’ombra fino al 2012, salvo forse l’interesse per la sua quota nel colosso Generali, detenuta per l’1,1% assieme ad altri soci veneti tramite la società-veicolo Ferak e per il 2,15% tramite Effeti, joint venture tra la stessa Ferak e la Fondazione Crt. Ed è proprio con la vicenda FonSai, che fioccano le inchieste giornalistiche sull’origine dei mezzi messi in campo da Palladio e sui suoi rapporti con Enrico Marchi e il network di potere vicino all’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, con il banchiere Vincenzo Consoli, gran finanziatore, attraverso Veneto Banca, delle operazioni della finanziaria e dei suoi soci, e con l’ex ad delle Generali, Giovanni Perissinotto. Proprio per le operazioni realizzate tra le Generali e i suoi azionisti veneti Perissinotto è stato citato a giudizio davanti al Tribunale del lavoro dall’attuale vertice del Leone guidato da Mario Greco.