di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Il 2013 è stato per le famiglie italiane un anno a due facce. La ricchezza totale netta si è ridotta per effetto del calo del prezzo delle case. Però l’aumento del tasso di risparmio e l’incremento del valore dei titoli hanno determinato nel 2013 una crescita del 2,1% delle attività finanziarie detenute dalle famiglie che sono salite a 3.890 miliardi a fine anno.
La crisi ha spinto infatti le famiglie a ridurre i consumi per accantonare più risorse per fare fronte a eventuali emergenze. Non a caso, dalla relazione annuale della Banca d’Italia emerge un forte aumento dei depositi in conto corrente. «In Italia la percentuale di attività investite in strumenti liquidi come circolante e depositi, che più rispondono a motivi precauzionali, è stata pari al 30,9% nel 2013, una quota più elevata di quella del 2007 (27,3%)», si legge nel documento. Questa tendenza si registra, però, in tutti i Paesi europei. Anche in Germania si ha la stessa tendenza a preferire gli investimenti liquidi, il cui peso in portafoglio è salito dal 36,2% del 2007 al 40,4% del 2013.
In termini di scelte di portafoglio le famiglie italiane si muovono con velocità e tempismo quando si tratta di investire in titoli di Stato. Se nel 2011 gli italiani avevano rinnovato le obbligazioni del Tesoro per 61 miliardi dando un segnale di forte fiducia nel Paese nel momento più difficile dello spread ai massimi, nel 2013 hanno prevalso le vendite sull’onda del restringimento del differenziale.
Dalla relazione annuale della Banca d’Italia emerge infatti che i titoli pubblici italiani hanno registrato flussi netti negativi per 22,9 miliardi. Un movimento giustificato dalla netta discesa dello spread avvenuta nel corso dello scorso anno che ha convinto molti a realizzare le plusvalenze ottenute sui titoli acquistati durante la crisi. Ma nel complesso gli acquisti netti di attività finanziarie nel 2013 hanno registrato un forte incremento arrivando a 30 miliardi, dai 18 miliardi del 2012.
E, se per quanto riguarda Bot e Btp si registra una progressiva disaffezione man mano che calano i rendimenti, questo fenomeno potrebbe presto riguardare anche i conti di deposito. Il rendimento offerto da questi prodotti si è dimezzato negli ultimi due anni, passando dal 4 al 2% circa. È probabile quindi che i soldi depositati, almeno in parte, prendano altre destinazioni nel momento in cui il vincolo scade ovvero nella maggior parte dei casi dopo 12-24 mesi. Una certa disaffezione si registra anche verso i bond bancari, caratterizzati da flussi netti negativi per 34,9 miliardi. Si legge nel documento di Via Nazionale: «La sostituzione di titoli bancari con prodotti assicurativi e fon di comuni ha riflesso anche il cambiamento delle politiche di offerta delle banche, motivato dalle ridotte esigenze di raccolta e dall’impatto positivo sulla redditività delle commissioni di collocamento». Non stupisce, dunque, che sia iniziata anche la rimonta della raccolta fondi, già fotografata da Assogestioni.
Secondo la Banca d’Italia, lo scorso anno i flussi netti verso questi strumenti sono stati pari a 27,5 miliardi, contro i 20 miliardi del 2012. Per ora il risparmio gestito ha intercettato i flussi in uscita dai bond bancari e dai titoli di Stato. Ma a fare la differenza sarà la capacita di riuscire ad attirare i flussi in uscita dai conti di deposito una volta che i vincoli arriveranno a scadenza.
Per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza si trova la conferma di un Paese in cui la ricchezza è nelle mani della fascia meno giovane della popolazione. Il valore mediano della ricchezza netta dei nuclei con capofamiglia di età superiore a 64 anni registra una dinamica di lungo periodo più favorevole rispetto a quella dei nuclei con capofamiglia di età inferiore a 35 anni e tra il 2010 e il 2012 il divario è ulteriormente cresciuto. Il trend è destinato a crescere, visto che nel prossimo ventennio nei Paesi occidentali circa 75 milioni di baby boomer entreranno in età pensionabile. Si stima che circa i due terzi degli asset totali saranno controllati dai 60enni in pensione. E chi offre prodotti d’investimento dovrà tenerne conto.
Se queste sono le tendenze per quanto riguarda la gestione del salvadanaio degli italiani, anche dal lato dei prestiti si scopre che l’Italia è un Paese più di formiche che di cicale. Nel 2013 i debiti delle famiglie nei confronti di banche e altre società finanziarie sono diminuiti dell’1,6 % (1,1% nel 2012). L’incidenza dei debiti finanziari sul reddito disponibile si è ridotta al 65%, un rapporto che rimane contenuto nel confronto internazionale.
Un discorso a parte riguarda il prestito ipotecario perché il desiderio di possedere una casa, insieme al bisogno di avere un salvadanaio di sicurezza, restano due elementi molto forte dei risparmiatori italiani. E anche in questo senso ci sono i primi segnali di svolta, anche se l’accesso al credito per ora è più facile per chi ha un certo gruzzoletto da investire. Dalla relazione emerge che nel 2013 i prestiti per l’acquisto di abitazioni sono diminuiti (-1,2%) e le erogazioni di mutui sono scese a 21 miliardi (25 miliardi nel 2012) a causa della debolezza della domanda e di condizioni di offerta ancora restrittive. Ma Via Nazionale ricorda che l’indagine trimestrale sul credito bancario ha rilevato segnali di miglioramento nella seconda parte dell’anno per effetto dell’evoluzione dell’attività economica.
Questi segnali sono stati seguiti da una ripresa delle erogazioni nel primo trimestre del 2014 (8,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). Dal sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni, condotto dalla Banca d’Italia con Tecnoborsa e con l’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, emerge che nel 2013 la quota di agenti immobiliari che indicava nella difficoltà degli acquirenti a reperire un mutuo una delle cause prevalenti di mancata realizzazione della compravendita è diminuita al 47,8 dal 59,5% del 2012, una percentuale simile a quella rilevata nel 2008, anno di inizio dell’indagine. In base ai dati dell’Indagine regionale sul credito bancario condotta dalle filiali della Banca d’Italia, nel 2013 la media del rapporto tra prestito e valore dell’immobile (loan to value) si è stabilizzata attorno al 58%. E la quota di mutui a tasso variabile erogati ha raggiunto il 78% (73% nel 2012), contro il 27% dell’area dell’euro. Anche dal punto di vista dell’onerosità del mutuo la situazione sta migliorando. Il costo dei nuovi mutui a tasso variabile è diminuito dal 3,4 al 3,2%; quello dei nuovi contratti a tasso fisso di durata superiore a dieci anni è aumentato nel corso dell’estate, per poi scendere nell’ultimo bimestre al 4,7%. Rispetto alla media dell’area dell’euro, la differenza del costo dei mutui a tasso variabile, che aveva raggiunto un valore storicamente elevato verso la fine del 2012 (0,7%), si è ridotta di tre decimi di punto; per quelli a tasso fisso il divario è rimasto elevato, superiore a un punto percentuale. (riproduzione riservata)