In tempi di tassi bassi, corporate bond che offrono sempre meno opportunità e borse con titoli che hanno raggiunto in qualche caso valutazioni eque, per le compagnie di assicurazione di tutto il mondo la sfida è riuscire a trovare alternative agli assai bassi rendimenti dei titoli di Stato.
Che per anni sono stati gli asset principali dei portafogli delle polizze. Come emerge dal terzo sondaggio annuale realizzato da Goldman Sachs am su 223 responsabili degli investimenti e direttori finanza di compagnie in tutto il mondo che detengono asset totali pari a oltre 6 mila miliardi di dollari. A illustrare i risultati dello studio a MF-Milano Finanza è Robert Goodman, managing director del Global insurance asset management di Goldman Sachs asset management.
Domanda. In questa situazione quali sono le mosse delle compagnie per correre ai ripari?
Risposta. Dalla ricerca emerge che i gruppi assicurativi stanno iniziando a esplorare asset non tradizionali che possono offrire un total return potenziale più elevato e anche un premio per la loro illiquidità. Se in passato c’era stata un’apertura delle gestioni assicurative, tradizionalmente concentrate sui titoli di Stato, ai corporate bond prima investment grade e poi ad alto rendimento, oggi queste due ultime asset class offrono minori opportunità e quindi lo sguardo si rivolge altrove.
D. Dove in particolare?
R. Partendo dall’assunto che le compagnie di assicurazione si trovano più a loro agio nel gestire i titoli obbligazionari, le mosse iniziali sono state quelle di spingersi verso investimenti sempre più alternativi nel mondo del credito piuttosto che agire sulla duration del portafoglio, poi anche nelle azioni. Se dal sondaggio dello scorso anno risultava che le compagnie puntavano la loro attenzione verso i prestiti bancari a tasso variabile, quest’anno la principale differenza che emerge è proprio su questo fronte.
D. Ovvero?
R. I gruppi assicurativi stanno pianificando una maggiore allocazione verso l’intero spettro del credito, andando verso investimenti meno liquidi come i finanziamenti legati alle infrastrutture, fino ai prestiti commerciali, e si spingono anche sul private equity e sulle azioni immobiliari. Verso l’azionario c’è sempre maggiore interesse anche se qui i rischi aumentano perché le valutazioni sono in alcuni casi non più a buon mercato e quest’anno tutti concordano nel dire che non si ripeteranno le performance brillanti del 2013. Resta il fatto che i gestori assicurativi stanno scoprendo che il rendimento da dividendo delle azioni è in media più alto della media dei rendimenti dei bond con alto merito di credito.
D. Ma non prendono troppo rischio le compagnie mettendo in portafoglio asset meno liquidi?
R. L’aumento dell’esposizione verso gli asset più illiquidi non coinvolge la parte degli attivi di bilancio relativa alle riserve messe a fronte degli impegni verso i sottoscrittori delle polizze. Ma riguarda quella quota non oggetto di vincoli di questo tipo, come ad esempio gli asset a copertura delle passività nei confronti degli azionisti.
D. E se si rialzano i tassi crede che le compagnie cambieranno idea?
R. Non credo, il processo in atto non è una rivoluzione per le compagnie assicurative, ma è un’evoluzione. Quindi è un fenomeno da cui non si torna indietro perché dopo la crisi del 2008 le assicurazioni hanno imparato che bisogna essere diversificati e che non è giusto tenere tutte le uova in un solo paniere.
D. E in Italia?
R. Le maggiori compagnie, che peraltro hanno un nuovo management, stanno andando verso questa direzione e anche quelle di minori dimensioni stanno cercando di essere più diversificate. (riproduzione riservata)