di Paola Valentini
Nonostante l’iniziale smentita, alla fine sui conti correnti e sui depositi si è abbattuta davvero una mini-patrimoniale. D’altra parte il governo sa bene che i risparmi parcheggiati in questi strumenti sono in aumento. «Secondo recenti stime, i flussi di risparmio delle famiglie, dopo la diminuzione registrata a partire dal 2006, sarebbero tornati a crescere nel 2013, collocandosi al 2,2% del pil», si legge nel Def appena presentato che prevede una stabilizzazione del dato al 2,3% nel biennio 2014-2015.
Una situazione che trova conferma nei dati Abi: a fine marzo i depositi bancari sono saliti a quota 1.220 miliardi di euro, un terzo delle attività finanziarie totali delle famiglie italiane, con una variazione del +1% su base annua, circa 12 miliardi. Cifre davanti alle quali lo Stato a caccia di risorse non ha resistito alla tentazione di aumentare la tassazione degli interessi dal 20% al 26%. E anche se oggi i conti correnti sono remunerati dalle banche a tassi da prefisso telefonico (0,39% il tasso medio dei c/c, 0,98% quello degli altri depositi), la loro consistenza è tale che anche un tasso attivo molto basso porta un gettito miliardario. Ecco due conti, peraltro in difetto, che danno le dimensioni del fenomeno. Applicando il tasso medio dello 0,39% ai 1.220 miliardi si ottiene un flusso di interessi attivi di 4,75 miliardi all’anno, il fisco se ne prenderà il 26%, quindi 1,23 miliardi. Un provvedimento che peraltro riguarda la quasi totalità dei risparmiatori dato che in base agli ultimi dati della Banca d’Italia i conti correnti e depositi sono posseduti dal 94% delle famiglie italiane. E soprattutto colpisce quei lavoratori dipendenti cui Renzi ha promesso il bonus di 80 euro in busta paga. Non solo. «In linea di principio la ricchezza in quanto tale non andrebbe mai tassata, in quanto essa è il risultato dell’accumulazione di risparmi che hanno costituito una quota di redditi già a suo tempo tassati», dice Alberto Foà, presidente di AcomeA. Peraltro l’incremento delle tasse sul risparmio è stato deciso per ridurre l’Irap delle imprese, ma se non si rilancia la domanda le aziende non useranno quei soldi per assumere. Ma il premier, in cerca di coperture, ha puntato sul risparmio, il vero petrolio dell’Italia, che nonostante la crisi vale oltre 3.700 miliardi, considerando le sole attività finanziarie. Ed è, come si diceva, una riserva in continua crescita, con un aumento su base annua dell’1,7%. Se per le famiglie medie la situazione è questa, per i rentier la fase attuale appare ancora più complessa. L’aumento della tassazione dal 20 al 26% non determina soltanto un taglio dei rendimenti. Aggiungendo l’imposta di bollo (rincarata quest’anno allo 0,2% del capitale), poi la Tobin tax e considerando i tassi ai minimi e l’inflazione, seppur bassa, si può arrivare all’erosione del capitale. È l’eutanasia del risparmio che rischia di realizzarsi grazie al forte incremento delle tasse, immobili compresi, operato dai governi più recenti. «La pressione fiscale sul risparmio cresce più di quanto non appaia a prima vista, perché tra ritenuta d’imposta e bolli siamo nell’ordine del 36%. Questa percentuale sale ulteriormente se si tiene conto del fatto che la legislazione italiana non consente di compensare redditi da capitale (proventi periodici come interessi e dividendi, ma anche le plusvalenze generate con i fondi comuni, ndr) e redditi diversi (importi derivanti da differenze tra prezzo di vendita e costo di acquisto di altri strumenti finanziari, ndr)», dice Raffaele Zenti, responsabile financial strategies group di Advise Only. Motivo per cui nei fondi comuni non si possono compensare i proventi positivi (redditi di capitale) con minusvalenze (redditi diversi) realizzate sui medesimi, tranne il caso del regime del risparmio gestito.
Resta invece il trattamento agevolato dei fondi pensione (11%) che non pagano nemmeno l’imposta di bollo, oltre ai titoli di Stato rimasti al 12,5%. Ma su questo fronte si attendono le prossime mosse de governo dopo che il sottosegretario all’Economia Enrico Morando si è preso l’impegno di medio-lungo periodo di armonizzare la fiscalità dei vari strumenti, debito pubblico permettendo. (riproduzione riservata)