di Angelica Romani
Non esiste «un modo legale per fare pressioni sul consorzio» e accelerare la riapertura di Kashagan. Quando, prima di Pasqua, il ministro dell’Energia del Kazakhstan, Uzakbai Karabalin, ha incontrato i rappresentanti delle compagnie petrolifere partner di Ncoc (North caspian operating company) ha dovuto arrendersi di fronte all’evidenza. Per riavviare gli impianti, fermi da quasi sette mesi, in piena sicurezza non ci sono scorciatoie, con buona pace del governo di Astana. Un modo per far sentire alle oil company la pressione, però, le autorità kazake lo hanno trovato lo stesso. Il 7 marzo l’Ared (il Dipartimento ambiente della regione di Atyrau) ha avviato una serie di azioni civili nei confronti del consorzio che sviluppa il giacimento di Kashagan. «Tali procedimenti», si legge nella relazione finanziaria appena pubblicata da Eni, «si riferiscono a emissioni avvenute durante la fuoriuscita di gas che si è verificata in fase di avvio delle attività di produzione e che avrebbero portato a violazioni delle leggi ambientali e a danni ambientali». Danni che il Cane a sei zampe e gli altri partner del consorzio hanno sempre negato. L’importo complessivo del risarcimento danni reclamato dall’Ared ammonta a circa 737 milioni di dollari. Di questi, nella relazione chiusa al 31 dicembre 2013, Eni stima l’importo a suo carico in 124 milioni di dollari. Ncoc, ovviamente, ha presentato ricorso, negando danni di alcun genere all’ambiente. Ma la controversia va avanti. (riproduzione riservata)