di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Le mutue sono nate alla fine dell’800 per mettere in comune i rischi e in questo modo rendere i singoli lavoratori o cittadini più forti di fronte alle difficoltà. Un modello poi incorporato dagli Stati europei che si caratterizzano proprio per un welfare pubblico che dovrebbe accompagnare tutta la vita dei cittadini.

Un’ideale di Stato-famiglia che forse ha avuto la sua espressione massima negli anni 60-70 quando si riteneva che lo Stato avrebbe accompagnato ognuno dalla culla alla vecchiaia risolvendo mano a mano le varie esigenze. Un modello oggi messo in crisi dal peso del debito pubblico, ma anche dall’invecchiamento della popolazione e dalla crescente disoccupazione che tende di fatto a impoverire le potenziali entrate dello Stato. E così gli italiani si trovano a fronteggiare una doppia difficoltà, lo Stato che deve ridurre il suo perimetro d’azione e dall’altro un settore privato che ancora non si è ancora del tutto sviluppato. E che offre ancora pochi prodotti per impiegare parte dello stock di risparmio, in un ombrello più efficace in caso di difficoltà.

Un esempio su tutti si trova quando si vanno ad analizzare i bisogni e le risposte oggi disponibili per chi è disabile. «Esiste un mercato potenziale perché molte famiglie hanno provveduto ad accumulare risparmi proprio per garantire un futuro tranquillo, per esempio, ai propri figli o ai congiunti disabili, ma mancano ancora prodotti disegnati per soddisfare questa esigenza», dice Franco Bomprezzi, portavoce di Ledha Lega per i diritti delle persone con disabilità.

Inoltre, manca anche un’adeguata sensibilizzazione sulle coperture per chi disabile potrebbe diventarlo. «Si ritiene che il sistema del welfare pubblico sia immutabile, ma non è così, come abbiamo potuto sperimentare negli ultimi anni, per cui sarebbe importante agevolare chi si vuole costruire una copertura aggiuntiva», aggiunge Bomprezzi.

 

D’altronde oggi 4 milioni di italiani non sono autosufficienti, e vengono assistiti da circa 1 milione di assistenti e badanti, secondo il quarto rapporto Network Non Autosufficienza.

E il bisogno di assistenza è destinato a crescere con il progressivo invecchiamento della popolazione, visto che oggi, spiega Federanziani, più della metà dei cittadini tra i 75 e gli 84 anni ha una malattia o un problema di salute cronico, e che questa percentuale sale fino al 64% tra quelli che hanno più di 85 anni. «Si fa ancora troppo poco per soddisfare questi bisogni: la percentuale di anziani che ha accesso all’assistenza domiciliare integrata è ferma al 4%, mentre la diffusione del Servizio di assistenza domiciliare è addirittura sceso dall’1,7% dei potenziali utenti nel 2008 all’1,4% nel 2010. Anche il tasso di fruizione delle indennità di accompagnamento è sceso negli ultimi anni. Le scelte dei diversi governi tra 2008 e il 2011, infatti, hanno portato a un forte taglio dei fondi per la non autosufficienza», afferma ancora Federanziani.

In particolare il Fondo per le politiche sociali, che serve a finanziare interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, dal 2010 al 2011 è passato da 929,3 milioni di euro ad appena 273,9 milioni.

La legge di Stabilità per il 2014 ha previsto il rifinanziamento del Fondo nazionale per le politiche sociali, uno strumento che è in gran parte distribuito alle regioni per il finanziamento della rete di interventi e servizi sociali sul territorio. Le disponibilità nel 2014 ammontano a 300 milioni.

Nel 2011 era stato anche cancellato del tutto quello per la non autosufficienza per il quale era previsto uno stanziamento di 400 milioni di euro. Il fondo poi è stato reintrodotto ma con risorse inferiori. Con la legge di Stabilità per il 2014 sono stati previsti infatti interventi a favore delle persone affette da gravi disabilità. In particolare è stato previsto il rifinanziamento del fondo per le non autosufficienze per 350 milioni nel 2014 a favore del sostegno e dell’assistenza domiciliare delle persone affette da sclerosi multipla e da Sla. «Sul fronte della non autosufficienza dobbiamo affrontare un tema aperto in Italia per i prossimi anni: quello della sostenibilità. Vogliamo evitare il solito tira e molla di ogni anno sul Fondo. Siamo arrivati a 350 milioni, ma ci rendiamo conto di quanto di più ci vorrebbe nei territori», ha sottolineato Beatrice Lorenzin, ministro della Salute. Il Fondo per la non autosufficienza va reso stabile nel tempo, sottolinea Lorenzin: «Dobbiamo lavorare per renderlo più sostenibile».

La situazione infatti resta critica. «Il fondo nazionale per le politiche sociali ha subito riduzioni fino al 30-40% all’anno, con una conseguente contrazione delle risorse disponibili per la spesa sociale degli enti locali. Dichiara il Presidente di FederAnziani Roberto Messina, «il sociale in Italia è in ginocchio: serve un intervento urgente», aggiunge Messina, «oggi la non autosufficienza è la prima causa di impoverimento delle famiglie dopo la perdita del lavoro. Ben 2 milioni di nuclei familiari in Italia si fanno carico di costi che diventano ogni giorno più difficili da sostenere».

 

Una condizione che preoccupa sempre di più le famiglie, che sentono di non riuscire a coprire i bisogni dei propri cari con l’accumulazione di capitale fai-da-te, e vivono con paura l’oggi, reso incerto dai tagli all’assistenza pubblica, ma ancor di più il futuro. Una ricerca realizzata da Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici) e la Fondazione Cariplo ha analizzato quali ruoli possono avere l’industria assicurativa e il privato sociale per trovare risposte nuove sulla tutela delle disabilità. L’analisi, che propone alcune soluzioni assicurative, elaborate a partire da dati americani sul problema, per integrare efficacemente l’intervento pubblico, evidenzia la crescente specificità dei bisogni sociali, che sono oggi altamente diversificati e necessitano per questo di assistenza mirata e coinvolgimento diretto dei beneficiari. Oggi c’è ancora una carenza di basi statistiche sulla disabilità in Italia, necessarie per offrire prodotti equi e differenziati in base al tipo di assistenza richiesta e alle aspettative di vita.

Il fatto che in Italia ci sia ancora un ritardo su questo aspetto emerge anche dall’inchiesta condotta da MF-Milano Finanza, che ha contattato le principali compagnie assicurative per scoprire se dispongono di prodotti o tariffe ad hoc. Dall’indagine è emerso che sul mercato l’offerta è ancora limitata. Esiste per esempio una polizza di Intesa Sanpaolo vita che si chiama Isv Al Fa Dopo Di Noi, disegnata per garantire una fonte di reddito certa, in forma di capitale o di rendita, su cui potrà contare la persona disabile nel momento in cui non ci saranno più i suoi cari a prendersene cura. Si tratta di uno dei pochi prodotti volti a coprire questa esigenza. Che invece potrebbe trovare proprio nei prodotti assicurativi un aiuto concreto come dimostrano le simulazioni Ania presentate nella ricerca «Assicurazioni per le persone con disabilità e le loro famiglie».

 

Se su questo fronte i passi avanti da fare sono ancora numerosi, c’è poi l’altro aspetto da prendere in considerazione, ossia quello delle polizze per la non autosufficienza e Long term care. Uno studio di Unisalute, la compagnia specializzata sull’assistenza sanitaria del gruppo Unipol, ricorda che quasi tutti sanno che esistono polizze sanitarie che pagano le spese mediche, ma l’idea che esista una copertura che si impegni nel pagamento delle spese domiciliari o al pagamento di una casa di riposo non è così familiare. Eppure l’assistenza socio-sanitaria può essere molto costosa. Si legge nel documento di Unisalute: «Per avere un’idea dei costi dell’assistenza ai non autosufficienti basti pensare che il costo medio mensile del ricovero in una casa di cura negli Stati Uniti è stato valutato in media 3 mila dollari con punte fino a 6 mila e in Germania pari a 2 mila euro. In Italia si può stimare che il costo mensile in una casa di cura si aggiri sui 2-3 mila euro. Tali costi nei casi più gravi possono arrivare a 5-6 mila euro».

«Il problema si snoda tra l’esigenza di contenere gli alti costi e la possibilità di introdurre un fondo di autosufficienza, adeguato alle esigenze di cura. Molto spesso i 499 euro di indennità non riescono a coprire i gravosi costi di assistenza, che arrivano fino a 1.500 euro al mese per una badante e a 50 euro al giorno per un letto in Residenze Sanitarie Assistenziali. In Germania è stata istituita un’assicurazione obbligatoria per la non autosufficienza; i lavoratori hanno rinunciato a due giorni di ferie per poter usufruire di 1.700 euro in caso di simile necessità», rincara Federanziani. Per fare il punto di cosa offre la previdenza pubblica in Italia, Progetica ha simulato l’assegno pensionistico netto mensile per dipendenti e autonomi 30-40-50enni che abbiano iniziato a lavorare a 25 anni, considerando i profili di pensione di inabilità e ai superstiti previsti dall’Inps. Per l’inabilità, che prevede il riconoscimento da parte dell’Inps di contributi figurativi fino all’età di 60 anni, i tassi di sostituzione non sono lontani da quelli della previdenza pensionistica, compresi tra il 53 e il 79%. I valori più alti sono naturalmente per chi ha una componente di calcolo retributivo. A parità di retribuzione netta mensile attuale (1.500 euro), gli autonomi 40 e 50enni hanno pensioni più alte dei dipendenti grazie al maggiore reddito (a parità di netto il lordo è più elevato), che fa sentire i suoi effetti sulla quota retributiva. «Si ricorda che per accedere alla prestazione inabilità sono necessari almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre anni negli ultimi cinque: una condizione che rischia di lasciare senza pensione i giovani che hanno appena messo su famiglia e gli esodati», afferma Andrea Carbone di Progetica. Per la pensione superstiti invece le percentuali scendono notevolmente, in quanto il sistema di calcolo dell’Inps non aggiunge alcun contributo figurativo, e valorizza solo quanto versato fino al momento dell’evento. (riproduzione riservata)