di Francesca Vercesi

L’ultimo decennio del mondo finanziario ha vissuto una profonda rivoluzione e il settore dei fondi pensione italiani ha dimostrato stabilità, sia sui rendimenti sia sulla tipologia degli investimenti. Ora sembra che molto possa cambiare: l’avvento dei fondi mobiliari chiusi che investono in minibond e la revisione del dm 703/96 potrebbero portare una ventata di aria fresca e modificare l’impostazione dei fondi pensione più strutturati e diventare più appetibili in termini di rischio-rendimento.

Il titolo della conferenza di chiusura del Salone (alle 14.30 di venerdì 28 marzo presso l’Auditorium) è «Previdenza o Provvidenza? Una nuova bussola per il futuro». All’incontro, organizzato da Assogestioni col supporto di Banca Generali, ci saranno il vice ministro dell’economia Enrico Morando e operatori del mercato (JP Morgan, Anima), la presentazione di un’indagine firmata Prometeia e tre delle migliori idee emerse dall’iniziativa Call4Ideas realizzata da Assogestioni in collaborazione con ItaliaCamp, un network che unisce 70 università italiane con istituzioni e imprese, per promuovere un processo di innovazione sociale volto a collegare chi ha una buona idea con quanti hanno la forza economica, culturale e politica di realizzarla. Ma andiamo con ordine.
Il 2013 per i fondi pensione è andato bene anche se, a livello di adesioni, è cambiato ma non troppo. Gli iscritti a una qualche forma di previdenza complementare sono aumentati del 6,8%, arrivando a circa 6,23 milioni. Secondo la Covip (commissione di vigilanza dei fondi pensione), i fondi negoziali hanno segnato un guadagno medio del 5,4% ma hanno perso aderenti, quelli aperti dell’8,1% e i Pip hanno guadagnato in media il 12,2%. Questi ultimi, con oltre 2 milioni d’iscritti, sono schizzati al primo posto tra tutti gli strumenti previdenziali, anche grazie alle corpose provvigioni per gli intermediari che li collocano. Inoltre, sulla scia del rally azionario dello scorso anno, le linee bilanciate e azionarie hanno messo a segno rendimenti molto interessanti: dal 6,6% medio dei bilanciati negoziali, al 15,9% delle linee equity aperte, fino al 19,3% medio dei Pip azionari. Dal governo Monti in poi la tassazione dei prodotti finanziari è diventata sempre più onerosa, con l’introduzione dell’imposta di bollo allo 0,2% annuo e con l’aumento della tassazione delle rendite finanziarie al 26% (misura annunciata dal governo Renzi). A non essere stato penalizzato dall’aumento, Btp e conti deposito a parte, è il settore dei fondi pensione, vista l’importanza della previdenza complementare privata, anche alla luce di una crescita del Pil nominale (parametro di riferimento per la rivalutazione delle pensioni pubbliche) molto inferiore alla media storica negli ultimi anni e ai sempre più accidentati percorsi lavorativi dei giovani. «L’andamento del mercato previdenziale è influenzato da fattori economico-finanziari, come l’effetto della volatilità, oltre che dal lancio di possibili nuovi prodotti e dalle politiche dei diversi operatori del settore.
 

Tuttavia, se quanto già vissuto nel 2013 si ripeterà anche quest’anno, ci troveremo presumibilmente di fronte a un 2014 positivo. Focalizzandoci sulle unit linked, questa previsione è rafforzata dagli effetti positivi introdotti di recente dai cambiamenti normativi che hanno portato a privilegiare la scelta di questa tipologia di prodotto, piuttosto che la sottoscrizione diretta in fondi: l’obiettivo è lo stesso e cioè investire sul mercato finanziario ma i vantaggi, essendo quelli delle unit linked connessi al contenitore assicurativo, fanno la differenza. Basti pensare, per esempio, alla possibilità di differimento della fiscalità al momento del riscatto e alla compensazione delle minus/plusvalenze in caso di switch, sempre investito», dichiara Enzo Furfaro, ad di Skandia. «In apparenza il mercato della previdenza pare essersi risvegliato ma in realtà resta asfittico. Eppure, ritardare l’adesione anche solo di dieci anni, porta con sé una corposa riduzione della rendita», spiega Marco Vicinanza, vdg e responsabile investimenti di Arca sgr, circa 165 mila aderenti ai fondi pensione e masse di 2,5 miliardi di euro. Precisa: «ipotizzando rendimenti di lungo periodo intorno al 4,5% e un risparmio pensionistico del 10% del salario lordo, un ritardo di dieci anni nell’avvio del piano previdenziale riduce la rendita previdenziale del secondo pilastro del 30% circa». Mentre, «con le stesse ipotesi sul rendimento e sul tasso di risparmio, un piano contributivo di 42 anni (0,7% di costo annuo della gestione) riduce la rendita previdenziale del secondo pilastro del 13% circa». Del resto, per decidere una forma pensionistica, occorre strutturarsi e farsi delle domande ben precise: quando inizio a contribuire, quanto verso in rapporto allo stipendio, quale rendimento mi aspetto? Continua Vicinanza: «nel lungo periodo, solo i mercati azionari sono in grado di dare rendimenti alti. L’ideale sarebbe trovare asset class il cui premio al rischio arrivi in parte dal premio di illiquidità. Ancorandosi, per esempio, all’economia reale, (vedi infrastrutture). In altre parole, sarebbe bello utilizzare il risparmio previdenziale per finanziare l’economia. Un circolo virtuoso che finirebbe anche per migliorare il primo pilastro, che è legato a doppio filo alla crescita del Pil. Ci piacerebbe che la questione fosse sul tavolo». Intanto il Paese resta in attesa del nuovo decreto sugli investimenti dei fondi pensione, al vaglio del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. È necessario che si faccia luce prima possibile sui criteri a cui le forme pensionistiche complementari e le relative società istitutrici devono attenersi nella definizione della gestione finanziaria. E magari dare spazio a nuove cose. (riproduzione riservata)