di Francesca Vercesi
L’ultimo decennio del mondo finanziario ha vissuto una profonda rivoluzione e il settore dei fondi pensione italiani ha dimostrato stabilità, sia sui rendimenti sia sulla tipologia degli investimenti. Ora sembra che molto possa cambiare: l’avvento dei fondi mobiliari chiusi che investono in minibond e la revisione del dm 703/96 potrebbero portare una ventata di aria fresca e modificare l’impostazione dei fondi pensione più strutturati e diventare più appetibili in termini di rischio-rendimento.
Tuttavia, se quanto già vissuto nel 2013 si ripeterà anche quest’anno, ci troveremo presumibilmente di fronte a un 2014 positivo. Focalizzandoci sulle unit linked, questa previsione è rafforzata dagli effetti positivi introdotti di recente dai cambiamenti normativi che hanno portato a privilegiare la scelta di questa tipologia di prodotto, piuttosto che la sottoscrizione diretta in fondi: l’obiettivo è lo stesso e cioè investire sul mercato finanziario ma i vantaggi, essendo quelli delle unit linked connessi al contenitore assicurativo, fanno la differenza. Basti pensare, per esempio, alla possibilità di differimento della fiscalità al momento del riscatto e alla compensazione delle minus/plusvalenze in caso di switch, sempre investito», dichiara Enzo Furfaro, ad di Skandia. «In apparenza il mercato della previdenza pare essersi risvegliato ma in realtà resta asfittico. Eppure, ritardare l’adesione anche solo di dieci anni, porta con sé una corposa riduzione della rendita», spiega Marco Vicinanza, vdg e responsabile investimenti di Arca sgr, circa 165 mila aderenti ai fondi pensione e masse di 2,5 miliardi di euro. Precisa: «ipotizzando rendimenti di lungo periodo intorno al 4,5% e un risparmio pensionistico del 10% del salario lordo, un ritardo di dieci anni nell’avvio del piano previdenziale riduce la rendita previdenziale del secondo pilastro del 30% circa». Mentre, «con le stesse ipotesi sul rendimento e sul tasso di risparmio, un piano contributivo di 42 anni (0,7% di costo annuo della gestione) riduce la rendita previdenziale del secondo pilastro del 13% circa». Del resto, per decidere una forma pensionistica, occorre strutturarsi e farsi delle domande ben precise: quando inizio a contribuire, quanto verso in rapporto allo stipendio, quale rendimento mi aspetto? Continua Vicinanza: «nel lungo periodo, solo i mercati azionari sono in grado di dare rendimenti alti. L’ideale sarebbe trovare asset class il cui premio al rischio arrivi in parte dal premio di illiquidità. Ancorandosi, per esempio, all’economia reale, (vedi infrastrutture). In altre parole, sarebbe bello utilizzare il risparmio previdenziale per finanziare l’economia. Un circolo virtuoso che finirebbe anche per migliorare il primo pilastro, che è legato a doppio filo alla crescita del Pil. Ci piacerebbe che la questione fosse sul tavolo». Intanto il Paese resta in attesa del nuovo decreto sugli investimenti dei fondi pensione, al vaglio del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan. È necessario che si faccia luce prima possibile sui criteri a cui le forme pensionistiche complementari e le relative società istitutrici devono attenersi nella definizione della gestione finanziaria. E magari dare spazio a nuove cose. (riproduzione riservata)