di Lucio Sironi
Il risparmio gestito tricolore ha un’occasione unica per rilanciarsi che non va sprecata, perché è dal 2000 che in Italia i fondi comuni non attiravano così tanti risparmi come nel 2013. Lo scorso anno la loro raccolta netta ha superato i 45 miliardi di euro, come nell’anno del boom dei titoli internet, anche se oggi la situazione è molto diversa da quella di 14 anni fa. Le condizioni economiche, tanto per cominciare. La lotta all’elevato debito pubblico e la riduzione dell’indebitamento delle banche hanno sottratto molta liquidità al sistema e alle famiglie dal 2008 in avanti. Se nel 2000 si godeva ancora dell’eredità positiva della forte crescita delle borse degli anni 90, di tassi in discesa e di un’economia in ripresa, oggi il clima economico è ben diverso. Ma forse c’è maggiore consapevolezza delle insidie che minacciano la crescita, a differenzadel 2000 quando, alla fase di raccolta record, seguì un brusco calo dovuto alla micidiale concorrenza di obbligazioni bancarie e strumenti di liquidità.
Il problema maggiore oggi è l’assai inferiore capacità di risparmio delle famiglie. Nel 2000 i flussi investiti in attività finanziarie erano prossimi a 120 miliardi di euro, il 4% delle attività finanziarie. Nel 2013 le famiglie, fiaccate dalla lunga crisi economica e dall’aumento della pressione fiscale hanno investito, secondo le stime di Prometeia, meno di 25 miliardi. Altro che frenata! E al minore risparmio corrisponde anche minore reddito, vista la disoccupazione in aumento che rende oggi le famiglie italiane mediamente più povere. Sempre Prometeia stima che il calo della ricchezza finanziaria delle famiglie sia stato del 7% in termini reali dal 2000 al 2012 e quello del reddito disponibile del 2,5%.
A dispetto dell’impennata della raccolta, in questi anni è sceso anche il numero di sottoscrittori di fondi comuni, circa 9 milioni nel 2000, ora intorno ai 5 milioni. Ma sono cambiati anche i fattori che ispirarono la forte raccolta del 2000 rispetto a quella di oggi, perché allora le borse avevano toccato livelli record grazie alla forte spinta dei titoli tecnologici, una bolla che scoppiò appunto quell’anno. Purtroppo allora, in un clima di esagerato (col senno di poi) ottimismo, i fondi comuni azionari rappresentavano quasi il 40% del totale (perciò quando le borse crollarono furono dolori) mentre oggi sono il 22%. In generale si può dire che le famiglie continuano a tenere le distanze dalle borse, preferendo gli obbligazionari che oggi rappresentano poco meno della metà del mercato italiani.
Ma la forza della raccolta si esplicherà anche quest’anno? Da un lato le banche continuano a spingere sulla raccolta di fondi d’investimento per compensare il calo dei margini nell’attività tradizionale. L’anno scorso anche per loro è tornata positiva per la prima volta dal 2005, per quasi 25 miliardi, più della metà del totale. Si tratta perlopiù di fondi a cedola o a scadenza. Grazie a loro le banche hanno potuto recuperare redditività a suon di commissioni, in un quadro in cui si sono ridotti invece i margini sull’attività tradizionale. E appunto questo potrebbe essere un elemento a sostegno della raccolta del risparmio gestito anche nei prossimi anni. Certo, più che uno spontaneo confluire dei risparmiatori verso i fondi, si potrebbe obiettare che si tratta semmai di un’esigenza di recupero della redditività da parte degli istituti di credito. Ma il fenomeno potrebbe anche trasformarsi nell’occasione di sviluppo di modelli di servizio effettivamente più vicini alle esigenze della clientela. (riproduzione riservata)