Di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Costi ancora elevati per i fondi di diritto italiano. Nel 2013 le società di gestione hanno prelevato commissioni per un totale di 2,1 miliardi di euro, ovvero l’1,37% del patrimonio medio ponderato dell’industria, a fronte di una performance media positiva del 7%. I costi addebitati ai sottoscrittori sono poco più alti rispetto al 2012 (1,34% pari a 2 miliardi). Secondo il dato non ponderato, il tasso medio di spesa è risultato nel 2013 dell’1,56%, contro l’1,6% nel 2012 e l’1,58% del 2011.
Per alzare il velo sui costi dei fondi MF-Milano Finanza in collaborazione con Fida ha esaminato le spese correnti 2013 contenute nei Kiid (Key Investor Information Document) di oltre 850 fondi comuni italiani. La direttiva comunitaria Ucits IV del 2011 infatti ha fatto sparire il vecchio prospetto semplificato sostituendolo con il Kiid, un documento che in poche pagine riassume tutte le informazioni-chiave per gli investitori, incluse le spese correnti. Questo indicatore, che ha sostituito il Ter (Total Expense Ratio), registra la percentuale di costo sul patrimonio medio del fondo e in esso sono comprese, oltre alle commissioni di gestione, anche le spese di revisione del fondo, le spese di pubblicazione del valore della quota, il compenso per la banca depositaria, le spese legali e giudiziarie e il contributo di vigilanza. Sono escluse le commissioni di intermediazione che i gestori pagano per comprare e vendere i titoli, gli oneri di ingresso e di uscita dai comparti (questi ultimi sono a carico dei singoli investitori e non del fondo e possono essere contrattati con il collocatore) e gli oneri fiscali. Senza dimenticare che le spese correnti, a differenza del vecchio Ter, non includono le commissioni di incentivo. La spesa media non ponderata per patrimonio varia a seconda delle categorie. Presentano una spesa maggiore i fondi azionari e i flessibili, mentre i fondi monetari e gli obbligazionari hanno spese più contenute. In testa alla classifica assoluta figura il fondo flessibile Consultinvest Multimanager Medium Volatility A con un costo complessivo del 5,43%.
Se sul fronte dei costi il ritocco all’insù è stato marginale, il quadro fiscale dell’industria è in piena evoluzione. Dopo il cambio, avvenuto nel 2011, della modalità di tassazione, oggi applicata sul realizzato anziché sul maturato, a inizio 2012 è stata rincarata dal 12,5% a 20% l’aliquota di tassazione sulle plusvalenze ed è entrata anche in vigore l’imposta di bollo sugli investimenti finanziari, inclusi i fondi comuni. Quest’ultima imposta è stata aumentata a inizio 2014 dallo 0,15% allo 0,20% dell’importo investito, togliendo il minimo di 34,20 euro all’anno. Anche la tassazione sulle plusvalenze è destinata a essere rincarata. A partire dal 1° maggio, secondo i piani del governo, il 20% attuale dovrebbe essere portato al 26%. E dal 1° marzo scorso si è aggiunta la Tobin Tax, che colpisce le transazioni sulle azioni italiane a maggior capitalizzazione.
Oggi più che mai quindi per ottenere risultati migliori è necessario ridurre i costi per il sottoscrittore dei fondi. Tanto più che l’Italia, secondo una recente analisi di Morningstar, risulta tra i Paesi d’Europa più cari su questo versante. Le spese medie correnti in Europa sono dell’1,08% e i più convenienti sono i Paesi nordici, a partire dalla Norvegia dove si paga lo 0,72%. (riproduzione riservata)