Uomo, di età compresa tra i 41 e 50 anni, in azienda da più di dieci anni, con una funzione di senior management e un titolo di studio tra la scuola secondaria e la laurea. È questo l’identikit del frodatore italiano che emerge dall’indagine 2014 realizzata da PwC. Un quadro che costituisce un’evoluzione di quanto rilevato per l’anno 2011, quando il truffatore tipo apparteneva al middle management, aveva un’anzianità dai 3 ai 5 anni, era più giovane (tra i 31 e i 40 anni) e possedeva un diploma di scuola superiore.
Dalla ricerca si evince come nel 72% dei casi il soggetto interno riesce a eludere i sistemi aziendali di controllo, probabilmente perché li conosce meglio di chiunque altro. Si può individuare una precisa correlazione tra il profilo dell’autore di medio-alto livello e le frodi contabili e fiscali. Tali tipologie di illeciti presuppongono infatti la conoscenza di dati e documenti accessibili a un ristretto numero di persone.
Per quanto riguarda i frodatori esterni, invece, nel 67% dei casi si tratta di un cliente. Anche in questo caso la tendenza è cambiata rispetto a tre anni prima, quando l’autore esterno era tipicamente un soggetto privo di qualsiasi relazione professionale con l’azienda (ex dipendenti, concorrenti, hacker).
L’altra significativa novità rispetto al passato riguarda la maggiore incidenza del cyber crime. Quanto più l’economia si modernizza tanto più diventa obbligatorio per le imprese sviluppare e potenziare i servizi web. Un mondo fatto di enormi opportunità, ma nel quale gli illeciti sono in costante crescita, sia perpetrati da singoli hacker sia dalla criminalità organizzata. I settori più colpiti restano servizi finanziari, assicurazioni, comunicazioni, intrattenimento e media. Oltre al blackout del sito internet (59%), l’attacco ai sistemi informativi delle aziende si traduce spesso nel furto dei dati personali dei clienti (58%), oppure nella sottrazione di informazioni e dati riservati di natura economica, fiscale o industriale (55%).
In Italia un’azienda su due ritiene che il cyber crime sia una minaccia esterna e non interna. In particolare il 3% ha vissuto questi attacchi tramite i social network come Facebook e Twitter, dove i profili presi di mira sono quelli con più follower.