Il decreto legislativo n. 154/2013, in vigore da venerdì, completa la riforma del diritto di famiglia, inaugurata dalla legge 219/2012. E lo fa partendo dall’adozione di un nuovo dizionario giuridico che rappresenta, prima che una scelta di metodo, una diversa impostazione culturale. In particolare, in tutte le norme, la potestà genitoriale viene a essere ridefinita dalla sintesi concettuale europea «responsabilità genitoriale».
Il concetto di responsabilità genitoriale, presente da tempo in numerosi strumenti internazionali (si pensi tra tutti al Regolamento Ce n. 2201/2003), viene adottato poiché è quello che meglio definisce i contenuti dell’impegno genitoriale, non più da considerare come una «potestà» sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nel confronti del figlio.
Viene abbandonata definitivamente l’impostazione tralaticia che considerava i figli minori «oggetto di protezione» per collocarli, a pieno titolo, nell’ambito dei «soggetti titolari di diritti».
I genitori non sono più tratteggiati nel codice civile come «titolari di poteri» sui minori ma considerati «destinatari di responsabilità».
Così concepita, la responsabilità genitoriale è una situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione. La selezione del concetto di responsabilità genitoriale, in luogo di quello di potestà, ha delle ricadute immediate in punto di partecipazione del genitore alla vita del minore; e, di ciò, vi è evidente dimostrazione nella riformulazione delle norme in materia di affidamento.
I genitori, infatti, conservano sempre e comunque la titolarità della responsabilità genitoriale (salvo intervenga pronuncia di decadenza) e l’affidamento incide solo sul profilo del suo esercizio.
Anche in caso di affidamento esclusivo, pertanto, «le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori» (337-quater c.c.) e solo il giudice può introdurre una deroga per gravi motivate ragioni (istituendo, potremmo dire, un affidamento cd. superesclusivo).
Si amplifica, dunque, il principio di bigenitorialità che ora, in modo esplicito, attrae nel suo alveo applicativo anche la scelta in ordine alla «residenza abituale del minore»: sempre e comunque devono essere entrambi i genitori a decidere il luogo in cui i figli devono vivere e un trasferimento unilaterale è atto illecito che consente al giudice di cambiare il modulo di affidamento.
Il legame tra responsabilità genitoriale e collocamento della prole è solido: nel lessico europeo, rientra nel concesso di responsabilità parentale anche la scelta in ordine al luogo in cui i figli devono fissare la loro residenza abituale. L’importanza della relazioni genitoriali, con riguardo ai luoghi in cui i minori svolgono la loro vita, è rafforzata dal nuovo comma II dell’art. 337-sexies c.c. in cui è ora previsto che, in presenza di figli minori, «ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di 30 giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto».
Il genitore che «non esercita la responsabilità genitoriale» (v. art. 316, ultimo comma c.c.) comunque «vigila sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio». Inoltre «qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento» (art. 337-ter c.c.).
In altri termini, il Legislatore tipizza una fattispecie specifica idonea a legittimare una revisione dello statuto vigente ex art. 337-quinquies c.c.; l’inadempimento del genitore è fatto idoneo (sopravvenuto) per la revisione dello statuto di affidamento. L’obbligo del rispetto delle condizioni fissate dal giudice è rafforzato in sede di affido esclusivo: ex art. 337-quater comma II c.c., il genitore affidatario «deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice». Riemerge, ancora una volta, il diritto di ciascuno dei genitori a prendere parte alla vita del proprio figlio senza che l’affidamento, in sé, possa costituire una recisione, di fatto, del legame famigliare.
Responsabilità genitoriale (in luogo di potestà genitoriale) equivale, però, anche e soprattutto a «rispondere» in caso di esercizio inadeguato delle competenze e attribuzioni riconosciute. Da qui, la inedita previsione del nuovo art. 337-ter c.c. che assegna, anche al giudice ordinario (e non più a solo quello minorile) la facoltà di disporre «l’affidamento familiare» in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori. Quanto ovviamente equivale ad ammettere anche l’affidamento al Servizio Sociale o all’Ente pubblico terzo individuato dal magistrato («adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole»). Si tratta di limitazioni all’esercizio della responsabilità genitoriale, applicabili anche dal Tribunale ordinario (v. artt. 333 c.c., 38 disp att. c.c.).
A ben vedere, la riscrittura delle «parole della famiglia» regala agli interpreti la possibilità di parlare una «nuova lingua»; sperando che, soprattutto da parte dei giudici e degli avvocati, sia un linguaggio attento alla persona che più di altri aspetta di ascoltare: il fanciullo.
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