A Milano gli iscritti hanno già superato quota 90 mila e presto il servizio sarà esteso anche a città come Torino e Roma. Il servizio di car sharing, ovvero l’auto noleggiata per pochi minuti per muoversi all’interno delle città, si sta rapidamente espandendo anche in Italia dopo che aver ottenuto notevoli riscontri in molte città nel Nord Europa e nei maggiori agglomerati urbani degli Stati Uniti.
Non a caso a Milano, dopo il debutto di settembre targato Car2Go, il servizio di Daimler che da settembre scorso ha messo a disposizione dei cittadini circa 450 Smart, a dicembre è arrivato Enijoy, iniziativa targata Eniche ha dislocato nel capoluogo lombardo 650 vetture tra 500 e 500L della Fiat disponibili a essere noleggiate. Non solo, per aprile è in programma lo sbarco della Volkswagen con l’utilitaria Up!, mentre il piano diBmw che circoscriveva l’area di utilizzo al centro città non è stato approvato da Comune. Insomma, tutti sembrano aver fiutato il nuovo business che garantisce numerosi vantaggi sia alle società che vi investono sia agli utenti. In attesa che le prime cifre sul business vengano rivelate, le case automobilistiche con questa iniziativa si fanno sicuramente pubblicità, visto che centinaia di vetture da loro fabbricate sfrecciano nei centri cittadini con i loghi aziendali ben in evidenza. Eni per esempio mette in bella mostra il proprio marchio sulle 500 coinvolte nell’iniziativa. I clienti invece, al costo di noleggio che varia da 0,25 a 0,29 centesimi al minuto, si assicurano un tragitto in auto che nella stragrande maggioranza dei casi costa meno di una corsa in taxi.
Il rischio tuttavia è che questo vantaggio si riveli di breve periodo. La società di consulenza specializzata AlixPartners ha infatti analizzato il fenomeno negli Stati Uniti, dove il servizio è in vigore da alcuni anni ormai e il risultato è stato quantomai sorprendente. Secondo uno studio appena ultimato, e MF-Milano Finanza ha potuto visionare, il rischio è infatti che questo fenomeno si traduca in un forte calo di vendite di nuove auto nel medio periodo. Secondo il report, infatti, nelle principali città americane un veicolo da utilizzare come car sharing significa 32 veicoli in meno immatricolati. La studio, che si basa su un campione di migliaia di automobilisti intervistati, spiega inoltre che sinora si può stimare in 500 mila il numero di automobili che non sono state vendute a causa del car sharing negli Stati Uniti. Insomma, senza queste iniziative si sarebbero immatricolati 500 mila veicoli in più. Inoltre, siccome il numero di iscritti è destinato a salire sino a raggiungere 4 milioni di abbonati nel 2020 (si veda tabella in pagina), AlixPartners stima che il numero di vetture invendute possa salire sino a 1,2 milioni da qui al 2020. Ovviamente la gran parte di questa perdita sarà concentrata nelle grandi città. «Abbiamo analizzato i mercati in cui il car sharing ha raggiunto dimensioni tali da poter far nascere stime credibili. In questo quadro il nostro studio suggerisce che la volontà degli automobilisti statunitensi di non comprare nuove vetture perché hanno a disposizione le opzioni offerte dal car sharing è maggiore di quanto molti credessero e suggerisce che il settore automobilistica sta ignorando o quantomeno minimizzando i pericoli legati a questa crescente tendenza», ha spiegato Mark Wakefield, managing, director di AlixPartners e responsabile della sezione auto per il Nord America della società di consulenza. (riproduzione riservata)