di Roberta Castellarin
Il governo lavora a un provvedimento volto a consentire ai lavoratori di andare in pensione in anticipo su base volontaria, con il contributo anche di lavoratori, Stato e aziende. Lo ha dichiarato il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, che non ha, però, fornito alcun dettaglio su come il relativo onere sarà suddiviso.
Come unico correttivo, la riforma Fornero ha dato la possibilità alle donne di andare in pensione prima dei 62 anni, ma con una decurtazione dell’assegno dell’1% per ogni anno di anticipo, quota che diventa il 2% oltre i due anni di anticipo. I risparmi per i conti dello Stato sono arrivati quindi rinviando l’addio al lavoro di numerosi lavoratori. In una fase peraltro in cui le aziende, alla prese con una lunga crisi economica, accetterebbero ben volentieri soluzioni che consentano di mandare in pensione prima i dipendenti con maggiore anzianità. Prima di arrivare alla proposta definitiva, quella di un eventuale prestito previdenziale, Giovannini ha aperto un tavolo di confronto con imprenditori e sindacati per verificare l’accettabilità del progetto. Infatti le stesse aziende potrebbero essere chiamate a partecipare all’anticipo della pensione, insieme all’Inps e ai lavoratori, che dovrebbero accontentarsi di un assegno decurtato.
D’altra parte oggi esiste già una formula che, tramite intese con i sindacati, permette di mandare in pensione in anticipo i lavoratori dipendenti grazie al versamento da parte dell’azienda di gran parte dell’assegno. Meccanismo che ha trovato applicazione presso le grandi aziende, ma non è utilizzabile da parte delle realtà più piccole. Che pure lamentano la stessa esigenza di maggiore flessibilità. Certo, per l’Italia resta il fatto che il problema della cassa è ancora cruciale, tanto che si sta lavorando a una limatura delle detrazioni fiscali al fine di reperire 500 milioni di euro. Difficile quindi pensare che nella ripartizione dell’onere lo Stato possa dare un contributo generoso. Non stupisce quindi che il ministro Giovannini parli di «strumento flessibile» in ragione delle condizioni soggettive del lavoratore. «L’idea», conclude, «è di avere un contributo di tre soggetti (Stato, imprese e lavoratori). Stiamo lavorando sul modo di avere a disposizione uno strumento flessibile, che presenteremo poi alle parti sociali». (riproduzione riservata)