Pagine a cura di Daniele Cirioli  

 

L’aumento dei contributi complica la pensione dei co.co.pro.. L’incremento dell’1% dell’aliquota contributiva (che sale a 28,72%) della gestione separata Inps scattato a Capodanno, infatti, eleva pure l’importo minimo di contributi che occorre versare all’Inps per avere l’accredito di un anno di contributi utili ai fini della futura pensione. Per esempio se nell’anno appena trascorso è bastato guadagnare un compenso di 1.280 euro mensili, quest’anno occorrerà guadagnare almeno 1.295 euro al mese (incassando peraltro di meno): chi guadagna la metà, 650 euro, dovrà lavorare due anni per maturare un anno di contribuzione per la pensione. È il paradosso dell’accredito contributivo.

 

Il paradosso dell’accredito contributivo. Aumentano (e aumenteranno i prossimi anni) i contributi per i parasubordinati fino ad arrivare alla stessa misura prevista per i dipendenti (33%), ma resta ancora irrisolta la questione dell’accredito contributivo, che rappresenta e che continuerà a rappresentare il vero elemento di «disuguaglianza» e distinzione tra parasubordinati e dipendenti. Cerchiamo di capirci. Nel linguaggio comune, «contributi» e «lavoro» vengono usati come sinonimi, cosicché a «un anno di lavoro» si fa corrispondere «un anno di contributi» e viceversa.

La medesima corrispondenza, invece, non è sempre esatta e vera se ci si riferisce a un lavoratore parasubordinato, cioè a un lavoratore iscritto alla gestione separata, poiché in questo caso entrano in gioco proprio le differenti regole sull’accredito contributivo. Mentre per dipendenti e autonomi vige un meccanismo tale che garantisce che a ogni giorno, settimana, mese o anno «di lavoro» ci sia un’esatta corrispondenza a un giorno, una settimana, un mese o un anno «di contribuzione», lo stesso meccanismo non si applica nel caso dei lavoratori parasubordinati (è un’eccezione che esiste solo per la gestione separata). Questo meccanismo che tutela i lavoratori dipendenti e autonomi si chiama «minimale contributivo»: è l’importo minimo su cui è vanno calcolati i contributi da versare e al di sotto del quale non si può in nessun caso scendere (è vietato dalla legge). Quindi, se anche la retribuzione pagata al dipendente è inferiore a tale minimo il datore di lavoro è comunque obbligato a versare un importo di contributi calcolato sul minimale così da garantire al lavoratore «l’accredito contributivo»: ha lavorato un giorno, avrà un giorno di accredito contributivo; ha lavorato un mese o un anno, avrà un mese o un anno di accredito contributivo. Lo stesso meccanismo non opera nel caso dei collaboratori per i quali il committente paga i contributi alla gestione separata. In questo caso infatti i contributi sono calcolati e versati sugli effettivi compensi dei collaboratori, senza tener conto cioè di un importo minimo (non c’è appunto un «minimale» da rispettare). Tuttavia, e qui sta l’effetto paradossale, un «minimale» c’è e opera mietendo vittime ai fini dell’accredito contributivo, perché affinché il collaboratore ottenga l’accredito di un giorno, di un mese o di un anno di contributi, è necessario che risulti pagato un tot preciso di contributi predeterminato per legge. Per l’anno 2013, questo importo minimo di contributi da versare alla gestione separata per ottenere un anno o un mese di «accredito contributivo» è stato rispettivamente di 4.256,96 euro (4.146,39 ai fini pensionistici) e di 354,75 euro (345,53 euro ai fini pensionistici) per chi pagava l’aliquota del 27,72%. Ciò significa che l’Inps, in presenza di un versamento di contributi per l’anno 2013 pari almeno a 4.257 euro, accredita un anno intero di contributi; in presenza di un versamento di contributi inferiore al tale soglia (4.257 euro) accredita tanti mesi quante volte l’importo di 354,75 euro entra nell’importo di contributi effettivamente versati. Tradotto in compensi, per raggiungere il versamento minimo di contributi che, per l’anno 2013, consente di avere un anno di accredito contributivo, occorre avere guadagnato almeno 15.357 euro ossia 1.280 euro mensili. Il collaboratore che guadagna la metà, cioè 640 euro al mese (7.680 euro l’anno), deve lavorare due anni per avere dall’Inps il riconoscimento di un anno di contributi utili.

 

Pensioni più pesanti? Non sempre. La questione dell’accredito contributivo, come appena visto, sfata in parte il mito dell’equazione «più contributi più pensione» per lo meno con riferimento ai lavoratori iscritti alla gestione separata. Infatti per un collaboratore che guadagna 9.950 euro l’anno (tanto sostengono Inps, Istat e ministero del lavoro nel Rapporto presentato in queste pagine con riferimento ai 647.691 co.co.pro. nel 2012) a che serve ricevere 100 euro di contributi in più (tale è il loro aumento nel 2014) se quei contributi, con molta probabilità, non serviranno mai a dar loro il diritto a una pensione? Prendiamo un co.co.pro. di 45 anni (è l’età media dei parasubordinati riportata sempre nel Rapporto Inps, Istat e Ministero del lavoro), per raggiungere i 20 anni minimo di contribuzione che servono per ottenere la pensione occorre che lavori circa 35 anni, così arrivando alla veneranda età di 80 anni! È chiaro che smetterà di lavorare a 70 anni e 9 mesi, quando potrà andare in pensione con 5 anni di contributi (ma ne avrà accumulati 25) ottenendo una pensione di 287 euro mensili.

 

Per i parasubordinati la pensione non è integrata al minimo. Alle pensioni liquidate esclusivamente con il sistema contributivo non si applicano le disposizioni sull’integrazione al minimo. Chi ci «perde» sono dunque i lavoratori «giovani», ossia quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che a tale data non avevano un contributo versato per la pensione. Si ricorda che la pensione integrata al minimo, o pensione minima, o integrazione al minimo è riconosciuta al pensionato la cui pensione risulti inferiore ad un livello fissato dalla legge, considerato il «minimo vitale». L’importo mensile varia ogni anno; per il 2013, è stato fissato a 495,43 euro e per il 2014 è pari a poco più di 500 euro.

 

I lavoratori «vecchi iscritti» che stavano bene adesso stanno anche meglio. Ai lavoratori che rientrano esclusivamente nel sistema contributivo (ancora sempre solo i lavoratori «giovani», ossia quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che a tale data non avevano un contributo versato per la pensione) è previsto inoltre che i contributi possano essere versati fino a un certo importo di retribuzione (o di compenso o di reddito) annuo. Per il 2013 il limite è stato di 99.034 euro e nel 2014 sale a 100.222 euro; oltre non si pagano contributi e non si matura neppure la pensione.

Perciò il lavoratore che guadagna 200 mila euro, quest’anno pagherà i contributi utili per la pensione fino a 100.22 euro ma anche la sua futura pensione sarà calcolata fino al corrispondente (ridotto) montante contributivo.

Non è così invece per chi proviene dal regime misto o retributivo, ossia per i lavoratori più «vecchi» che hanno cominciato a lavorare prima del 1° gennaio 1996 e che a tale data avevano un contributo versato per la pensione.

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