A 24 ore dall’approvazione del decreto Imu nessuno ieri sera aveva ancora letto il testo. Non l’avevano fatto i sindaci, scesi sul piede di guerra per la mancata copertura dei 500 milioni necessari a garantire anche il rimborso degli aumenti d’aliquota decisi nel 2013. E non l’avevano fatto né i banchieri né i vertici delle compagnie di assicurazione, cioè chi guida il grande comparto della finanza che dovrà tirare fuori i 2,15 miliardi di euro.
Che non sarebbe stata facile la grana della seconda rata Imu, arrivata a costare 2,9 miliardi nell’ipotesi che avrebbe fatto contenti tutti, il governo lo sapeva bene, ma ora sa anche di poter rischiare un Vietnam di ricorsi, che potrebbero riaprire la partita anche mesi dopo la scadenza della rata annulla.
Il fatto è che ieri si è capito un aspetto, che rende il decreto ancora più indigeribile per i sindaci.
Peccato che, letta in questo modo, la norma significa che non avranno problemi soltanto i Comuni un po’ furbetti, che hanno innalzato l’aliquota quest’anno, quando già si sapeva che il governo avrebbe cancellato la tassa sulla prima casa. Il conto dovranno pagarlo anche le amministrazioni che gli aumenti li avevano effettuati negli anni precedenti, e sono la larga maggioranza. Resteranno in vigore ovviamente le detrazioni, con l’avvertenza però che, se l’aumento deciso dal Comune avrebbe portato il proprietario a superare la quota esente, a gennaio il proprietario dell’immobile che sarà chiamato per la prima volta a pagare l’Imu dovrà versare metà della differenza tra la quota esente e la nuova aliquota. Una grana non da poco, tanto che il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta è andato ieri in televisione per dire che il governo sta ancora cercando altre risorse per eliminare o ridurre al massimo l’impatto sui cittadini. Di certo sarà difficile chiedere questi altri soldi a banche e assicurazioni, pronte già ad una batteria di ricorsi, dalla Corte Costituzionale fino alla Corte di Giustizia Ue (intervista a pagina 3).
Del resto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ha fatto notare ieri che «ogni appesantimento della pressione fiscale sul comparto bancario pesa non soltanto sulle banche ma anche sul complesso dell’economia produttiva e non favorisce certo gli esami che nel 2014 saranno effettuati con modelli unici sulle banche di tutta Europa». (riproduzione riservata)