È notizia di questa settimana l’apertura, in India, a Mumbai, della prima banca pubblica per donne del Paese, la Bharatiya Mahila Bank, nata per favorire la loro sicurezza economica. In Italia, i temi legati alle necessità di pianificazione, previdenza e investimento femminile non si affrontano spesso, probabilmente perché la parità tra generi è affermata ma culturalmente ancora poco praticata.
I motivi sono vari: tra questi, un mercato profondamente maschile che talora ritiene che tinteggiare qualcosa di rosa lo renda evidentemente femminile o che le donne siano un target, considerazione irreale perché le donne rappresentano oggi la maggioranza dei consumatori, in questo ed in altri Paesi.
Come si affronta oggi la questione di genere? Proviamo a digitare «Le femmine devono» su un noto motore di ricerca; il suggerimento che ci verrà proposto a possibile completamento della frase immessa sarà alquanto singolare: «Fare qualunque cosa due volte meglio». Oppure, come seconda opzione, «stare a casa». La più diffusa e sinuosa abitudine per affrontare la questione di genere è quella di adoperare stereotipi, etichette che conservano e riproducono visioni di mondi ormai superate. Così, la donna sarebbe sensibile, materna, dolce, sognatrice e seduttiva, mentre l’uomo forte, protettivo, razionale, pratico e aggressivo…
Le donne, è evidente, sono diverse dagli uomini e questo riguarda sia i comportamenti attesi, sia quelli generati. La tabella in pagina evidenzia alcune differenze di origine sociale e non biologica. Venendo alla previdenza, le prestazioni pensionistiche si costruiscono con i propri contributi; minori contributi generano un minore assegno pensionistico e garantiscono una qualità della vita peggiore durante la vecchiaia. I contributi sono legati al reddito da lavoro e alla continuità. Tre i punti critici per la popolazione femminile: ancora oggi (e in tutto il mondo) le donne guadagnano meno degli uomini a parità di responsabilità e questo rende minore la contribuzione previdenziale; in secondo luogo, esistono ancora trattamenti diversi in tema di età, anche nell’Inps, e dunque le donne vanno ancora in pensione prima degli uomini; nell’Inps avremo parità dal 2018 per i requisiti di vecchiaia, mentre sembrerebbe permanere un anno di differenza per la pensione anticipata. Infine, ed è tema rilevante, la mancanza di politiche di conciliazione tra maternità e lavoro obbliga ancora molte donne a dover fare una scelta tra lavoro e famiglia, con conseguenze evidenti in termini di mancati contributi previdenziali. Per non parlare poi del ruolo e delle attese nei confronti delle figlie femmine, custodi e tutori dei genitori anziani o ammalati, altro impegno non retribuito né riconosciuto. E che si traduce in minor tempo di lavoro e minore contribuzione previdenziale. Insomma, un gender gap su più fronti che non si limita a condizionare il tempo presente, ma che estende i suoi effetti anche sul trattamento (e la tranquillità) del periodo post lavorativo, riproducendo o addirittura rafforzando le disuguaglianze di genere. In previdenza, dunque, la differenza genera diversità, ossia trattamenti non paritari. Il tema si aggrava perché le donne vivono ben più degli uomini. Il grafico mostra le aspettative di vita in pensione di uomini e donne di diversi Paesi. Vivere a lungo è un traguardo in divenire, ma può diventare un problema serio se non si hanno a disposizione risorse economiche sufficienti per mantenersi tanto a lungo. In sintesi, le donne richiedono ragionamenti, stime, supporti, pianificazione capaci di compensare gli esiti di una minore previdenza. Peraltro, le donne sono le più capaci di comprendere il senso del tempo e della pianificazione, sono molto orientate ad affrontare il proprio futuro remoto e hanno esperienza e competenze di gestione del budget familiare che deriva dal fatto che spesso lo gestiscono. Sarebbe dunque bene non considerarle un target ma un destinatario prioritario di consapevolezza e pianificazione. (riproduzione riservata)