I fondi comuni italiani sono i più cari d’Europa, superati nel costo solo da quelli del Belgio. Tra i Paesi più cari c’è anche il Lussemburgo, dove risiedono molti fondi distribuiti poi in Italia sia da parte di società tricolore sia estere. A mettere sotto la lente le commissioni dei prodotti gestiti è un nuovo studio di Morningstar Denmark, che indaga quali Paesi europei siano oggi i più convenienti, valutando anche come raggiungere economie di scala da attivare a favore del cliente finale.
La ricerca mostra che i fondi comuni più economici in termini di ongoing charge (spese correnti) sono quelli del Nordeuropa. Per contro il Lussemburgo, che detiene la quota più grande di patrimonio gestito, è tra i più cari. Il peggiore però è il Belgio, seguito dall’Italia.
Dati alla mano gli investitori norvegesi pagano spese correnti medie ponderate di appena lo 0,72%, contro una media europea dell’1,08% e una media dell’1,53% pagata in Belgio. Penultima l’Italia con l’1,33%, terzultimo il Lussemburgo (1,22%). Ma considerando la categoria dei fondi azionari l’Italia è il Paese più caro in assoluto con una media ponderata del 2,11% contro una media europea dell’1,42%. Senza dimenticare che l’ongoing fee non comprende, a differenza del Ter, le commissioni di performance. E quindi il conto per il sottoscrittore finale può essere più salato. Soprattutto in Italia dove, in base alla ricerca di Morningstar, quasi il 58% del mercato è investito in fondi con una commissione di performance, un record in Europa. «Nonostante questo ampio utilizzo della performance fee, dalla nostra analisi risulta che l’Italia sia tra i Paesi più cari d’Europa anche senza considerare tale voce», si legge nel report di Morningstar. Lo studio stima anche che per i fondi italiani le commissioni di performance valgano lo 0,25%, valore quindi che deve essere aggiunto all’ongoing charge. Di contro i paesi nordici, nel complesso, hanno valori medi pari allo 0,98%. I dati migliori, ponderati per il patrimonio, sono quelli di Svezia e Danimarca. La Finlandia è un caso a parte tra i paesi nordici, con valori superiori alla media (1,1%). I fondi nordici sono competitivi su tutte le categorie (azionari, obbligazionari, bilanciati e monetari). Gli investitori in grandi classi di azioni o in fondi di grandi dimensioni non sempre hanno la meglio. Il report rivela che in alcuni Paesi neppure le economie di scala portano benefici agli investitori. E quindi non sempre grandi dimensioni significano efficienza. In 11 su 15 Paesi esaminati gli investitori traggono qualche beneficio dalle economie di scala. Ma non in Italia dove l’87% del patrimonio fa capo ai primi dieci gruppi per asset in gestione. Morningstar nella sua analisi non ha riscontrato economie di scala a beneficio degli investitori nemmeno in Belgio, Norvegia, e Paesi Bassi. Quando invece le economie di scala funzionano, un investitore in un fondo tipo azionario europeo o bilanciato potrebbe risparmiare circa il 20% di ongoing charge se scegliesse una classe di azioni o una società di grandi dimensioni. Per gli investitori nel reddito fisso il risparmio è ancora più significativo. Per chi investe in azioni, i prodotti istituzionali e quelli passivi offrono minori spese correnti e consentono di usufruire di più efficienti economie di scala. «Con la normativa attuale che ha riconosciuto le ongoing charge come nuovo indicatore di costo sintetico di un fondo», spiega Nikolaj Holdt Mikkelsen, autore del report e responsabile del team di ricerca e analisi in Danimarca, «abbiamo condotto questo studio per capire se il domicilio di un fondo comporta differenze rilevanti in termini di costi di investimento. I risultati dimostrano che il domicilio in effetti ha una sua importanza, con notevoli variazioni nella media delle spese correnti tra i paesi europei esaminati».
Per un investimento di 100 mila euro e versamenti mensili di 500 euro per dieci anni, tenendo in considerazione solo le ongoing charge, «abbiamo uno scarto di circa 9.500 euro in termini di crescita tra un investitore norvegese, il paese più economico, e uno belga, il più costoso». L’analisi, che copre l’85% del mercato europeo dei fondi comuni, è stata svolta su 22.979 fondi (48.666 classi) europei, appartenenti a 21 Paesi, per i quali erano disponibili i dati sulle spese correnti. È stata scelta questa voce invece del Ter (Total expense ratio) in quanto previsto dalla regolamentazione come indicatore standard, che le società di gestione devono pubblicare sul Kiid (il documento informativo introdotto nel 2011). (riproduzione riservata)