L’Italia è uno dei Paesi europei che più frequentemente ricorre alla manutenzione del proprio sistema previdenziale. Dagli anni 90 a oggi c’è il non invidiabile primato di una riforma delle pensioni quasi ogni anno e mezzo (prima degli anni 90 l’ultima riforma organica risaliva alla fine degli anni 60). Solo dall’esplosione della crisi Lehman Brothers si sono susseguiti almeno tre interventi di aggiustamento più la riforma Fornero del 2011. La sensazione che emerge è quella di una notevole confusione nella percezione degli italiani anche qualcosa sembra cambiare. Molto interessanti sono ora le evidenze contenute nel Rapporto annuale sul risparmio Centro Einaudi-Intesa Sanpaolo.

 

In primo luogo l’analisi conferma la propensione degli italiani a essere un popolo di grandi risparmiatori, anche se per la crisi si riesce a mettere da parte somme inferiori rispetto al passato. Il calo del risparmio è prevalentemente avvenuto senza che la percezione della sua necessità si affievolisse. Aumenta poi l’importanza della necessità di risparmiare per integrare la pensione. Ma che cosa si pensa della pensione? Si è compreso che si percepirà di meno dalla pensione pubblica e che si è innalzata l’asticella dell’età pensionabile. Due lavoratori su tre temono di doversi ritirare con una pensione insufficiente. Molto eloquente anche il commento che lo studio propone: gli italiani dimostrano di avere compreso ormai completamente gli effetti delle diverse riforme ma di averla subìta più come un amaro sciroppo e che come una compressa che fa passare il dolore. Un po’ più della metà dei lavoratori ha affermato di aver compreso sia l’allungamento della vita lavorativa sia il cambiamento dell’importo della pensione, perché si è fatto dei conti in proprio (tre su quattro) oppure con l’aiuto di un consulente. Le previsioni sulla propria età pensionabile si sono spostate ulteriormente verso l’alto, visto che ben il 44% del campione valuta ormai di andare in pensione oltre i 65 anni. Inoltre, il 67% si aspetta una pensione che non supererà i 1.500 euro e il 47% pensa che non arriverà neppure a 1.000 euro netti al mese. Del resto, il tasso di sostituzione atteso tra la pensione e il reddito è ormai stabilmente intorno al 50%, a prova del fatto che il messaggio sui tagli alle prestazioni previdenziali è ben evidente a tutti i lavoratori attivi. Ma come si comportano gli italiani dal punto di vista previdenziale? Rispetto allo scorso anno è avvenuto un cambiamento importante. È come se nel 2012 la riforma Fornero avesse colto i risparmiatori di sorpresa, anche perché è stata realizzata con estrema rapidità, osserva il Rapporto, senza l’usuale contorno di negoziati e di ritardi che contraddistingue la prassi italiana.

 

Ma ora le famiglie reagiscono. Il 56,5% ha dichiarato che nel 2013 ha già tagliato i consumi (29,8%) o che lo farà (26,7%) per aumentare l’accantonamento previdenziale e il 16% ha già sottoscritto una forma di risparmio previdenziale, mentre il 3% (considerando i soli lavoratori) dichiara di avere aumentato il contributo versato alla previdenza integrativa (il 12,7% ci sta pensando). È importante considerare che un ulteriore 18% circa degli intervistati ha detto che pensa di sottoscrivere una forma integrativa previdenziale. È peraltro evidente che, perché ciò possa realizzarsi, ci deve essere un maggior reddito disponibile che però è rimasto compresso negli ultimi due anni dalla crisi e dall’austerità fiscale. La principale barriera allo sviluppo dei fondi pensione, a parte il reddito, sembra essere poi la scarsa informazione diffusa sulle prestazioni dello strumento, sia in termini di performance sia in termini fiscali. Per esempio, il 54,7% del campione (58,7% nel 2012) continua a non conoscere la deducibilità dei contributi ai fondi pensione (5.164,57 euro per anno). A seguito di questa informazione, il 55,5% ha dichiarato interesse per lo strumento. Un maggiore attenzione ai fondi pensione si concentra o nei segmenti giovani oppure in quelli con il reddito più elevato. Se ne deduce, conclude il rapporto, che al momento gli sviluppi più promettenti per i fondi potrebbero derivare dalla mobilitazione delle risorse dei Tfr, in larga parte rimaste presso le aziende. Sempre in ottica precauzionale è interessante indagare anche quale sia il rapporto tra italiani e coperture assicurative, rapporto che risente della crisi. Le coperture sulla vita sono possedute dal 17% del campione (contro il 23 per cento di due anni fa). Le polizze long-term care sono scese in due anni dall’11 al 6,5%, ossia si sono quasi dimezzate. Anche le coperture sanitarie sono diminuite, scendendo in due anni dal 18 al 13% del campione. (riproduzione riservata)