Per i fondi pensione è l’ora della riscossa. Nei nove mesi del 2013, in base ai dati raccolti da MF-Milano Finanza su un campione rappresentativo del mercato, i comparti negoziali hanno reso in media il 3,5% superando di oltre due volte l’asticella del Trattamento di Fine Rapporto rimasto in azienda, che nello stesso periodo si è rivalutato dell’1,4% netto a causa del raffreddamento dell’inflazione (il Tfr si apprezza dell’1,5% fisso più il 75% dell’indice dei prezzi Istat).
Dall’ultima pubblicazione dei dati statistici dell’Autorità di vigilanza, aggiornati a giugno 2013, risulta che le adesioni alla previdenza complementare sono lievemente aumentate, ma, scendendo nel dettaglio dei diversi tipi di strumenti (fondi negoziali, fondi pensione aperti e pip), gli andamenti sono divergenti. «Nel semestre l’incremento complessivo è stato del 3,7%, ma disaggregando questa percentuale onnicomprensiva che include tutte le forme pensionistiche si evidenza ancora l’irrefrenabile ascesa dei Pip, con un aumento pari al 10,3%», spiega Assoprevidenza, l’Associazione Italiana per la Previdenza Complementare. Mentre per i negoziali le adesioni sono scese dello 0,5% in un momento in cui tra aumento dei licenziamenti e cassintegrazione la situazione del mondo del lavoro è a dir poco difficile. Il problema è che «ad oggi è ancora bassa la copertura delle fasce di popolazione più giovani (ovvero quelle esposte in maniera importante al problema di riduzione delle coperture pubbliche) anche per le note difficoltà a entrare nel mondo del lavoro, dei lavoratori autonomi (per i quali è particolarmente rilevante, anche dopo le riforme più recenti, la riduzione del tasso di sostituzione) e dei dipendenti delle aziende con meno di 50 addetti, molto diffuse nel tessuto produttivo italiano», spiegano Chiara Fornasari e Vincenza Di Lorenzo nella newsletter Atlante di Prometeia. «Facendo riferimento alla copertura, se consideriamo i soli fondi pensione negoziali, la principale fra le forme di nuova istituzione in termini di attivo netto, emerge infatti un quadro di maggiore criticità. Pesa sul segmento dei fondi pensione negoziali una maggiore difficoltà a proporsi in maniera efficace ai lavoratori non ancora iscritti, mentre i diversi canali distributivi dell’industria finanziaria propongono alla clientela prodotti ad adesione individuale, che infatti continua a caratterizzarsi per una crescita degli iscritti più intensa. Rimangono perciò ancora ampi i margini di crescita del segmento dei fondi pensione negoziali in termini di iscritti, di flussi raccolti e di masse gestite, tenendo conto che per molte realtà, anche di grande dimensione, i tassi di adesione sono ancora inferiori alla metà dei potenziali aderenti». Per i fondi pensione questo è un momento delicato non solo sul fronte delle adesioni, ma anche per quanto riguarda le nuove sfide che devono cogliere sul fronte degli investimenti. Dopo la crisi del 2008 infatti i gestori stanno rivedendo i modelli di gestione. E i nuovi mandati in fase di assegnazione in questi mesi sono l’occasione per rinnovare le linee di investimento.
Infatti sono numerosi i fondi pensione che a sei anni dall’avvio della riforma della previdenza complementare del 2007 hanno visto scadere i mandati di gestione che in genere durano cinque o sei anni. Proprio la normativa del 2007 ha introdotto il meccanismo del silenzio-assenso per l’adesione ai fondi. Una formula che prevede, se il lavoratore non effettua alcuna scelta, un’iscrizione automatica con versamento del Tfr alla linea garantita del fondo pensione di riferimento del lavoratore o, in sua assenza, a un fondo presso l’Inps. E sono proprio i comparti garantiti i maggiori interessati dall’attuale tornata di rinnovi dei mandati. Intanto sul fronte dei rendimenti, se lo scorso anno le linee garantite ne avevano ottenuti di brillanti per via della riduzione dello spread dei Btp, i primi nove mesi di quest’anno hanno visto la riscossa delle linee azionarie, che sono tra l’atro quelle più adatte ai giovani lavoratori che hanno di fonte a loro un lungo orizzonte temporale di riferimento. Non a caso Paolo Stefan, direttore di Solidarietà Veneto, sottolinea che «gli iscritti al comparto dei più giovani, il Dinamico, nel quinquennio 2008-2013 hanno beneficiato di un rendimento medio superiore all’8% netto annuo». Proprio sul fronte degli investimenti finanziari si attende il nuovo decreto del ministero dell’Economia sugli investimenti, che sostituirà il decreto 703 del 1996, figlio di un’epoca che, vista con gli occhi di oggi, appare lontana anni luce. Il mercato lo attende da giugno 2012, quando è finita la fase di consultazione tra gli operatori avviata dal Tesoro. Tra le novità per i fondi pensione c’è la possibilità di investire direttamente in fondi comuni e sicav. Una rivoluzione non di poco conto per i negoziali, che oggi devono gestire le proprie risorse tramite mandati attribuiti in base a bandi di gara realizzati ad hoc. Si spera che questa novità non produca però costi maggiori per il lavoratore. Oggi infatti grazie ai bandi i fondi pensione mettono in concorrenza tra loro i gestori e riescono a spuntare commissioni basse. Non a caso gli Isc (Indicatori Sintetici di Costo) dei negoziali sono inferiori a quelli dei fondi aperti e soprattutto delle polizze previdenziali.
Uno dei nodi più importanti riguarda infatti le commissioni. «La Covip ha condotto un’analisi sull’onerosità dei fondi pensione rilevando che, maggiore è l’adesione, minore è il costo annuo da corrispondere. Aderire a uno stesso fondo pensione può costare l’1% annuo per chi è iscritto solo da due anni, mentre lo stesso valore crolla al 0,2% se l’adesione è di 35 anni», spiega Assoprevidenza. Il quadro completo tracciato dalla Covip pone in evidenza come i fondi pensione negoziali siano gli strumenti meno costosi in assoluto. «Se si considera che quelli rivolti ai dipendenti danno il vantaggio aggiuntivo di ricevere il contributo datoriale, è evidente la loro convenienza rispetto agli strumenti per i lavoratori indipendenti. I fondi pensione aperti si collocano a metà strada tra i negoziali e i Pip, cioè le polizze previdenziali, in assoluto le più care: mediamente costano da tre a sette volte un fondo di categoria», prosegue Assoprevidenza. «Ma i Pip si dimostrano ancora una volta il prodotto più venduto, grazie a una fitta rete di collocatori di cui dispongono le compagnie di assicurazioni, nonostante siano mediamente più costosi dei fondi pensione negoziali che non hanno fine di lucro». I costi sono importanti perché «alcune elaborazioni hanno determinato che due strumenti identici per rendimento, contribuzione e durata di adesione, ma con l’1% di differenza di oneri, producono rendite differenti del 20% al termine di 35 anni di adesione», dice ancora l’associazione presieduta da Corbello.
Il quale sottolinea la necessità di un Welfare integrato che abbia come fulcro i fondi pensione. Non c’è solo l’emergenza pensioni, infatti, ma occorre correre ai ripari anche sul fronte della sanità. «In tutti i Paesi moderni, europei e non, si affianca alla spesa pubblica una spesa privata molto rilavante; nel 2010 in Italia questa è stata di circa 30 miliardi. Accanto a questa c’è poi una spesa sommersa che, pur non essendo quantificabile, assume dimensioni importanti», avverte Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria. Il problema è che «la spesa privata in Italia non è intermediata da fondi assicurativi ma è cash, pagata direttamente dal cittadino. In più, le recenti manovre finanziarie hanno aumentato questa spesa sanitaria privata perché si va diffondendo l’idea che alcune prestazioni non siano di fatto più disponibili da parte del pubblico, in quanto per via del costo del ticket il prezzo è più elevato che se erogate da strutture private. Per questo chiediamo che ci sia una migliore organizzazione della spesa sanitaria privata, che possa essere intermediata attraverso operatori specializzati in grado di rafforzare il potere della domanda dei cittadini nei confronti degli erogatori di servizi sanitari, siano essi pubblici o privati». In più, secondo Panucci, «a questa spesa privata si aggiunge quella assistenziale per prestazioni nei confronti degli anziani o di persone non autosufficienti, stimata per difetto in circa 8 miliardi l’anno». Però, attenzione, ciò non vuol dire mettere in discussione «il Sistema Sanitario Nazionale, pensato per attuare il diritto costituzionale alla salute e soprattutto la sua universalità», spiega Panucci.
Proprio al tema della assistenza sanitaria integrativa, alle sue connessioni con la sanità pubblica e alle sinergie tra forme assistenziali e previdenziali complementari è dedicato un incontro organizzato dal 24 al 26 ottobre da Itinerari Previdenziali. «Nell’attuale situazione di crisi economica e da debito, valutando le prospettive caratterizzate da una riduzione indifferibile della spesa sociale, giunta ormai al 50% della spesa pubblica, e considerato l’invecchiamento della popolazione con conseguente incremento del fabbisogno assistenziale, il welfare integrativo composto dalla previdenza, dall’assistenza sanitaria e dall’assistenza riabilitativa e alla non autosufficienza è una opzione da coltivare con cura, anche perché è uno dei pochi asset positivi che possiamo predisporre per le giovani generazioni», spiega Alberto Brambilla, coordinatore del comitato tecnico scientifico di Itinerari Previdenziali. Attualmente, in particolare, i fondi pensione non possono operare nel settore della sanità e dell’assistenza perché la normativa del 1993 ha circoscritto alla sola previdenza la loro attività. «Tuttavia», aggiunge Corbello, «poter disporre di fondi complementari in grado di offrire, con tutte le dovute distinzioni, coperture di assistenza e sanità integrativa garantirebbe un notevole risparmio e economie di scala innegabili». (riproduzione riservata)