Roma C ontinua a crescere il peso delle reti di promozione finanziaria nel mercato italiano del private banking. Lo attesta l’ultimo rapporto della società specializzata Magstat Consulting: cala, del 3%, la quota di masse gestite e amministrate dalle prime dieci strutture private, principalmente a causa del ruolo sempre più incisivo ricoperto dalle reti. Insomma, il sistema bancario «soffre» e le reti di promotori ne traggono vantaggio. «Questo momento rappresenta a mio parere un’opportunità epocale per il mondo delle reti di promozione finanziaria e per chiunque abbia voglia di mettersi in gioco nel nuovo mondo», afferma Paolo Martini, direttore commerciale del gruppo Azimut. Tre i temi principali che, secondo Martini, caratterizzano oggi il private banking di emanazione bancaria. I margini di redditività, per cominciare, con costi fissi elevati e ricavi che non compensano questi costi. «Nel mondo bancario in generale e anche nel private banking, ci sono un po’ troppe persone che, invece di incontrare clienti o private banker da reclutare, si occupano di altro e questo ha portato a un allungamento della catena di comando, e, soprattutto, a costi fissi molto alti che hanno reso, da un punto di vista industriale, poco efficiente questo modello di business», è l’opinione di Martini che è piuttosto critico anche sui contenuti dell’offerta: «Al di là di alcune eccezioni, non penso che l’industria del private banking nel suo complesso manifesti

un livello altissimo di qualità, ci sono poche storie nuove, c’è poca innovazione». C’è poi un problema di valorizzazione degli stessi banker. «Il senso di appartenenza alla banca è sempre più labile, le persone sono sempre meno legate alla struttura», spiega Martini. «Abbiamo tanti bravi professionisti che si sentono solo un numero, non sono ascoltati e, secondo me, non sono adeguatamente remunerati per il valore che creano». Il momento di difficoltà di alcune banche può però tramutarsi in un’opportunità. «Mai come oggi c’è un’opportunità di crescita veramente forte per chi lavora in banche private ed è bravo e ha coraggio», conferma Martini. «Quello che frena molti banker è la chimera del posto fisso e, per inseguire questa stabilità psicologica, in molti casi rinunciano a divertirsi, a guadagnare molto di più e, soprattutto, a far star meglio i loro clienti». Dei 120 professionisti che lavorano in Azimut Wealth Management, la divisione private del gruppo, passata da 1,2 miliardi di masse del 2009 ai 4,2 miliardi di oggi, ben 65 provengono dal mondo del private banking. «Abbiamo attratto banker molto bravi che vedono in noi un gruppo che cresce sano, con un modello organizzativo molto snello e flessibile, che ha clienti soddi-sfatti, ha investito su prodotti, servizi e persone e dove ricevono un’adeguata remunerazione per i ricavi che generano». (m. man.) Nella foto Paolo Martini direttore commerciale del gruppo Azimut