di Andrea Montanari

«Un uomo solo non fa nulla se non ha una squadra e tutti i dipendenti che remano in una stessa direzione». Per cancellare il passato, lungo 25 anni, il nuovo presidente diCarige, Cesare Castelbarco Albani, professione broker marittimo, da qualche anno nel cda dell’istituto ligure finito nel mirino di Bankitalia (e anche della Procura di Genova, dove tra l’altro sono stati presentati tre esposti dell’ex deus ex machina, Giovanni Berneschi), tiene a prendere le distanze dalla politica del suo predecessore.

Del resto, come emerso in conferenza stampa, ora il presidente deve solo «intrattenere rapporti con i soci, le istituzioni, la società civile, la città», perché i poteri operativi faranno tutti capo alla struttura manageriale guidata oggi dal confermato dg, Ennio La Monica, e in un imminente futuro dal nuovo ad (ci sarebbe Roberto Frigerio, uscito da poche ore da Bpm). Per questa ragione già a partire dal prossimo cda – ne sono previsti almeno due, se non tre, entro fine ottobre – ci si metterà a caccia del super manager esterno che dovrà firmare, assieme al resto del team, il nuovo piano industriale. E contestualmente mettere mano alle risposte da inoltrare entro il 2 novembre alla Vigilanza dopo che il cda decaduto e uscente nella sua ultima riunione del 26 settembre ha approvato, spaccandosi letteralmente in due, il documento da sottoporre a Via Nazionale.

 

E a dimostrazione del cambio di passo, con Castelbarco Albani è stato eletto, sempre dalla lista della Fondazione Carige, primo azionista della banca, anche il politico del Pd, Alessandro Repetto, già presidente della Provincia e con una lunga carriera in banca, durata oltre 34 anni. Figure che hanno evidentemente avuto il via libera di Palazzo Koch ma che, in conferenza, hanno dovuto rispondere a più di una domanda sul tema del reale ricambio manageriale, gestionale e strutturale. Ma a testimoniare la volontà di cambio di passo, anche in ottemperanza a quanto richiesto da Bankitalia, il nuovo presidente ha specificato che «va bene l’attenzione alla Liguria, ma non ci si può chiudere nell’Appennino. Dobbiamo essere cittadini del mondo». Un passaggio che potrebbe passare anche da aggregazioni. «Massima apertura ad alleanze con altri gruppi bancari purché nell’interesse del gruppo Carige», ha risposto Castelbarco.

Non è poi da escludere che in uno dei prossimi cda venga affrontato il tema dell’avvio dell’azione di responsabilità verso i manager delle due compagnie assicurative che hanno obbligato a una serie di aumenti di capitale e a maxi accantonamenti (altri 200 milioni in arrivo entro fine anno). Tuttavia il neo presidente ha sottolineato, con l’appoggio del dg La Monica, che «le controllate siano state rivoltate come un calzino» con un doppio cambio di management (ora la guida è affidata a Roberto Laganà) e a fine giugno erano profittevoli. Per questo come richiesto da Via Nazionale ora possono essere vendute: in data room ci sarebbe almeno un gruppo assicurativo europeo. Dovrebbe trattarsi di una primaria compagnia danese, ma il management non ha commentato in materia. «Il cda di Carige in questi anni si è occupato numerose volte delle compagnie e aveva già deciso che nel 2013 ci sarebbe stata una decisione strategica», ha tenuto a specificare Castelbarco.

Resta ovviamente centrale per il nuovo board il tema dei crediti e delle sofferenze evidenziato dagli ispettori di Palazzo Koch. E anche su questo argomento spinoso la banca ha pronta la soluzione. Come dimostra il caso dei finanziamenti all’imprenditore Mario Cavallini ora coperti abbondantemente da garanzie reali sulle proprietà dello stesso. «Abbiamo 190 milioni di rettifiche su oltre 23 miliardi di portafoglio in bonis: un numero assolutamente affrontabile», ha ribadito il dg di Carige. «Le sofferenze al 30 giugno riguardano crediti deteriorati con garanzie ipotecarie al 75% contro una media in Italia del 55% circa, mentre alcuni gruppi hanno un 35% di garanzie ipotecarie e un 65% di chirografari». Per di più, «la concentrazione dei crediti deteriorati negli ultimi due esercizi è legata in parte al fatto che l’istituto è molto esposto verso l’economia ligure, con una prevalenza di settori, dallo shipping alla cantieristica, dall’immobiliare ai servizi, che hanno risentito la crisi in tempi più dilatati rispetto ad altri istituti di credito» (riproduzione riservata)