di Marino Longoni mlongoni@class.it  

 

La rivincita della mediazione obbligatoria. E degli avvocati. Potrebbe essere il titolo del libro che si comincerà a scrivere a partire dal 20 settembre, quando scatterà l’obbligo di far precedere gran parte delle controversie civili, escluse quelle relative alla responsabilità civile per circolazione di veicoli, al tentativo obbligatorio di conciliazione.

 

Con modalità diverse, l’obbligo era già in vigore dal 2011, ma la Corte costituzionale l’aveva dichiarato illegittimo per eccesso di delega con una sentenza del 2012. In sintesi il governo, nel decreto legislativo 28/2010, si era spinto oltre i limiti previsti dalla legge delega, che non prevedeva l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione. Da qui la sentenza di illegittimità e la necessità di ricominciare da capo. Cosa che il governo ha fatto con il decreto legge del Fare. Mettendo a frutto anche l’esperienza, non del tutto positiva, fatta dal 2011. Le modifiche più importanti riguardano la semplificazione della procedura, che finirà per ridimensionarne anche i costi, l’obbligo di assistenza legale (ma già prima, nella maggior parte dei casi, le parti si presentavano sempre con a fianco il loro avvocato), la competenza ancorata al territorio (prima si poteva incardinare la conciliazione presso qualsiasi organismo, anche a mille km di distanza, e si erano verificati comportamenti truffaldini che sfruttavano proprio questa possibilità per impedire la piena partecipazione della controparte), la riduzione della durata massima da quattro a tre mesi, la gratuità del primo incontro (ma è probabile che alla fine si pagheranno almeno i 40 euro legati alle spese amministrative). Infine, ma è una delle modifiche più importanti, l’accordo sottoscritto dalle parti e dagli avvocati costituisce titolo esecutivo, elemento questo che consente un notevole risparmio di tempo e di spese. È certamente una vittoria dell’Avvocatura, che aveva contestato pesantemente la mediazione obbligatoria del 2011. È una sconfitta, e questo dispiace, per le centinaia di organismi di conciliazione, che erano sorti come funghi in vista di un nuovo business che sembrava allettante, e per le migliaia di mediatori professionali che avevano affrontato spese di formazione, a volte non irrilevanti, e che ora si vedono sorpassati dagli avvocati che, per il solo fatto di essere iscritti all’albo, acquistano di diritto il titolo di mediatore.

Sarà solo l’esperienza a dimostrare, con i fatti, se l’approccio tenuto dal governo Letta funzionerà o meno. Rispetto a due anni fa, comunque, non si può non notare una differenza fondamentale. Prima gli avvocati (più in generale i professionisti iscritti a un ordine) erano guardati con sospetto, quasi degli avversari da sconfiggere per il perseguimento del bene pubblico, della giustizia in particolare. Ora i professionisti sono trattati da ausiliari necessari al raggiungimento dell’interesse collettivo, in questo caso identificato con lo smaltimento dell’arretrato, la semplificazione dei meccanismi di soluzione delle controversie, la riduzione dei costi. È un cambiamento di prospettiva che, nel conclamato sfascio della pubblica amministrazione, segnala l’unica strada possibile, da sperimentare in molti altri campi, per ridare un minimo di funzionalità al sempre più spinoso rapporto tra stato e cittadino.

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