Roberta Paolini
G enerali aspetta di ricevere una proposta per la propria quota in Agorà. E si prepara ad un eventuale rilancio. Morgan Stanley e Finint, rispettivamente azionisti con il 16,4 e il 50,1 per cento della cassaforte che controlla indirettamente attraverso Marco Polo Holding il 40,12% di Save, sono oramai alle battute finali. Si stanno definendo i dettagli per mettere il sigillo sull’accordo che vedrebbe subentrare il fondo infrastrutture di Morgan Stanley al posto di Generali. Gli americani salirebbero così al 49% di Agorà, rilevando il 33% in capo al Leone che corrisponde all’incirca al 13,64% di Save. Ma la partita non è detto si concluda così facilmente. Resta da capire se il ceo di Generali Mario Greco sarà disponibile ad accettare l’offerta. Al momento il Leone è blindatissimo, e nulla ha fatto trapelare, anche perché i dettagli dell’offerta sono ancora in via di definizione, non essendo l’alleanza tra Marchi e gli americani ancora del tutto composta. Ma è lecito, oltre che logico, presupporre che Generali intenda valorizzare il pacchetto nel migliore dei modi. I patti dicono che il prezzo di un’eventuale transazione dovrebbe essere pari alla media ponderata del valore delle azioni degli ultimi 6 mesi. Ma poiché il titolo Save, da marzo si è apprezzato del 50%, i valori sarebbero inferiori all’attuale quotazione di mercato, a 13,5 euro. Non sfugge a nessuno che quella in capo a Trieste è una quota in grado
di spostare l’equilibrio della leadership in Save e potrebbe essere pagata più delle attuali quotazioni di mercato. Sullo sfondo resta un appetito notevole intorno allo scalo veneziano. Secondo fonti milanesi, infatti, Mediobanca starebbe studiando il dossier per conto di un investitore. E poi c’è il fondo Amber, che a giudicare dall’aggressività con cui si è mosso nell’ultimo mese, rastrellando più o meno il 2% di Save e portandosi sopra quota 17% (l’ultimo 0,5% l’ha recentemente comprato dalla Provincia di Venezia che la settimana scorsa ha messo in vendita un altro 2%), si aspetta un finale ancora apertissimo. Nel mezzo di questa delicatissima partita di equilibri sempre meno stabili, c’è il malumore di alcuni azionisti di minoranza di Save. Che contestano la gestione del presidente Marchi. La tesi proposta dice che, se i passeggeri sono cresciuti esponenzialmente nell’ultimo decennio (da 4,4 ai 10,5 milioni del 2012), questo è dovuto essenzialmente all’attrattività di Venezia. Poi c’è la questione tariffe, molto più basse di quelle spuntate da Adr e Sea. Save ha ottenuto un incremento da 16 a 19 euro contro l’innalzamento da 16 a 27 euro degli altri due gestori. Infine c’è il capitolo degli investimenti che, riferiscono fonti vicine ai piccoli azionisti, sono stati marginalmente dedicati allo sviluppo dell’infrastruttura aeroportuale. Gli oppositori di Marchi sostengono che si sia distratta cassa per investimenti in business non regolamentati (come lo sviluppo del food&beverage e retail e cioè Airest ora in trattativa con Lagardère per essere ceduta). Save, contattata, risponde alle critiche dicendo che i risultati sono nei numeri: dal 2000 al 2010 sono stati fatti 250 milioni di euro di investimenti mentre lo sviluppo della rete retail ha consentito a Save di acquisire competenze e visibilità a livello internazionale. Aggiungendo che proprio le risorse impiegate hanno inciso su un rinnovo delle tariffe meno generoso, in quanto non sono state riconosciute a Save compensazioni per aver fatto investimenti anche in mancanza del contratto di programma. Inoltre, rimarca l’azienda: dal 2000 al 2011 l’utile netto è aumentato del 14% annuo. Questo è un primo aspetto della partita. Il secondo fronte riguarda direttamente Finint e Generali. Come noto, infatti, la compagnia triestina è al contempo obbligazionista (ha sottoscritto un titolo di debito con opzione di conversione in azioni per 50 milioni) e azionista (con il 10%) della società di Enrico Marchi e Andrea De Vido. Nel 2014 va in scadenza il bond convertibile che dà a Generali l’opzione a salire in Finint e a raddoppiare la sua attuale quota. Ma il ceo group Greco ha già detto in più occasioni che il focus è il core business assicurativo e che i rapporti con i soci veneti (Finint è pure azionista del Leone attraverso Ferak) sono complessi e vanno semplificati. Il rapporto tra Conegliano e Trieste risale ad un’epoca, quella dell’ex group ceo di generali, Giovanni Perissinotto, che Greco non ha esitato a criticare duramente, anche di recente. In una intervista alla Frankfurter Algemeine Zeitung, il ceo ha ribadito apertis verbis che: in passato «è mancata l’attenzione all’effettivo core business, l’attività assicurativa ». E che «Generali ha perso troppo tempo dietro ad altro». Ergo: se ci sono partecipazioni da tenere, quella di Finint non sembra essere nell’orizzonte di Greco. Nel grafico qui sopra, il brillante andamento in Piazza Affari del titolo Save