Il decreto Balduzzi ha il grande merito di aver affrontato un tema non più differibile: quello delle risposte normative al problema della c.d. «medicina difensiva», commenta Francesco D’Alessandro. professore associato di Diritto penale commerciale, all’Università Cattolica del S.
Domanda. Quali sono le ragioni che hanno portato a questa paradossale situazione in cui nessuno più assicura una struttura ospedaliera o un medico?
Risposta. Le ragioni sono quelle legate alla progressiva «esplosione» della casistica giudiziaria legata all’esercizio delle professioni sanitarie: oggi, specialmente in alcuni settori particolarmente esposti al rischio di contenzioso, un medico che inizi a lavorare deve mettere nel conto di dover affrontare, nel corso della propria carriera, svariate controversie legali connesse alla propria attività professionale. Le crescenti aspettative nei confronti della medicina fanno sì che, quando le cose non vanno bene, si tenda a ricorrere alle vie legali, a caccia di colpe del professionista. Così, i costi delle assicurazioni lievitano a dismisura, al punto che interi settori sono oggi in difficoltà nel trovare adeguata copertura per la responsabilità civile connessa all’esercizio dell’attività professionale.
D. Quali interventi si sarebbero potuti introdurre nel decreto?
R. Il vero punto debole del decreto è quello di non aver dato vita a un intervento «di sistema», che passasse attraverso una complessiva rivisitazione degli assetti di responsabilità, tanto delle strutture, quanto dei singoli professionisti. Essendosi concentrato per lo più sul solo profilo assicurativo, introducendo norme in tema di responsabilità poco meditate e scollegate, il decreto si è facilmente prestato alle critiche di quanti vi hanno ravvisato non pochi profili di irragionevolezza, denunciando l’introduzione di inammissibili norme di favore per la sola classe medica.
D. Che fare?
R. Una recente ricerca, sul tema della «medicina difensiva», realizzata da studiosi del Centro Studi Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano, ha segnalato come l’introduzione di percorsi di giustizia riparativa in ambito sanitario potrebbe rappresentare un modo efficace per fornire risposte adeguate alle attese di giustizia dei cittadini e sterilizzare le paure dei sanitari legate al rischio personale di contenzioso legale.
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