di Anna Messia

Almeno la fuga si è arrestata. Dopo nove anni di deflussi ininterrotti i fondi di diritto italiano hanno ripreso a raccogliere consensi tra i risparmiatori, ottenendo 4,9 miliardi di sottoscrizioni nette nel primo trimestre dell’anno contro i 9,4 miliardi persi nel 2012. Ma le buone notizie finiscono qui.

Per il resto la consueta analisi dell’ufficio studi di Mediobanca, arrivata all’edizione numero 22, è una nuova, pesante bastonata ai gestori italiani accusati di mantenere alti i costi dei prodotti, ottenere performance deludenti e comprare e vendere titoli con troppa frequenza. Risalire la china non sarà facile considerando tra l’altro che il patrimonio a fine 2012 era a quota 13,5 miliardi e che solo una volta negli ultimi 15 anni l’importo è stato più esiguo. Un ridimensionamento che si è tradotto in un’incidenza dei patrimoni gestiti sul pil dell’8%, contro il 42% del 1999, quando l’industria stava attraversando una fase di crescita esplosiva. Il dato è ancora più preoccupante se si considera, osservaMediobanca, che l’Italia appare in forte controtendenza rispetto all’Europa, dove l’incidenza sul prodotto interno lordo nello stesso periodo è salita dal 48 al 69%. Al punto che oggi l’industria del risparmio gestito italiana è arrivata a occupare la 14esima posizione nel contesto internazionale, superata anche dalla Svezia.

 

Non è un mistero che negli ultimi anni sono stati gli stessi gestori italiani ad andare all’estero (Lussemburgo e Irlanda) per creare fondi e poi distribuirli in Italia. Una tendenza che ha inevitabilmente impoverito i prodotti di diritto italiano. Qualche speranza era riposta nel correttivo fiscale che a luglio 2011 ha eliminato le penalizzazioni per i prodotti italiani che sono stati tassati sul realizzato, proprio come i concorrenti esteri. Ma l’impressione è che il recupero che i fondi di diritto italiano stanno registrando da inizio anno (+6,3 miliardi la raccolta netta da gennaio a maggio, secondo gli ultimi dati diffusi da Assogestioni) sia dovuto più che altro a un effetto trascinamento dei risultati sorprendenti che sta registrando in questi mesi l’intera industria del gestito, che da gennaio a maggio ha raccolto più di 28 miliardi e ha toccato record di raccolta che non si vedevano da 14 anni; merito però ancora una volta soprattutto dei prodotti di diritto estero (21,7 miliardi). Solo i risultati dei prossimi mesi consentiranno di avere un quadro più chiaro.

Intanto Mediobanca continua a muovere critiche (alle quali fanno seguito in genere polemiche) alle commissioni e alle performance. Secondo le ultime rilevazioni dell’ufficio studi di Via Filodrammatici i costi di gestione nel 2012 sono saliti all’1,3% del patrimonio netto, con punte del 2,9% nel comparto azionario. Un massimo storico, tre volte e mezzo superiore rispetto ai fondi Usa e anche la rotazione del portafoglio (compravendite che fanno salire i costi) si è confermata elevata (7 mesi e mezzo) specie se confrontata con la media dei fondi americani (che supera i due anni). Costi e attivismo che non danno benefici alle performance. Nei primi tre mesi del 2013 i rendimenti sono stati dell’1,6% e nel 2012 del 6,2%, grazie in particolare al recupero dei fondi azionari (+11%) ma in un ottica di lungo periodo restando perdenti rispetto ai Bot. Chi avesse investito in tutti i fondi italiani negli ultimi 29 anni, (ovvero da quando è nato il risparmio gestito) invece che nel titolo di Stato avrebbe guadagnato il 5,4% all’anno, contro il 6% del Bot. (riproduzione riservata)