Il 21 giugno scorso attraverso il decreto legge n. 69 del 2013, detto decreto «del fare», il governo è tornato a occuparsi nuovamente di mediazione civile, reintroducendo la condizione di procedibilità nel dlgs 28/2010.
L’esecutivo, riproponendo l’obbligatorietà attraverso uno strumento formalmente corretto, ha voluto dare un nuovo impulso all’utilizzo di questa metodologia alternativa di risoluzione delle controversie (Adr) – che, seppur con numeri al di sotto delle aspettative, aveva cominciato a dare degli incoraggianti risultati sul piano della deflazione del carico di procedimenti giudiziari – introducendo anche alcune modifiche all’Istituto che possano renderlo più efficace e meno esposto ad alcune critiche di cui era stato oggetto il decreto legislativo nella sua formulazione originaria.
Alcune delle novità introdotte sono:
durata massima dell’intera procedura ridotta a tre mesi;
previsione di un incontro informativo e di programmazione tra le parti ed il mediatore, da svolgersi entro 30 giorni dal deposito dell’istanza, in cui insieme si verifica l’esistenza delle condizioni per procedere nella mediazione;
importo drasticamente ridotto e fino a un massimo di 250,00, anche per gli scaglioni più onerosi, qualora le parti dovessero decidere di non andare oltre l’incontro di programmazione;
ai fini dell’omologa, il verbale di accordo deve essere firmato dagli avvocati che assistono tutte le parti.
Gli avvocati sono mediatori di diritto.
La Comunità europea ha più volte ribadito che, in alcuni casi, l’introduzione di procedure meramente facoltative di Adr potrebbe non raggiungere gli obiettivi preposti di deflazionare il numero dei processi e di ridurre i tempi e i costi della giustizia e che le procedure alternative obbligatorie non sono pregiudizievoli per l’accesso alla giustizia e possono servire a diffondere la cultura della mediazione, purché siano a basso costo e di breve durata. Con le modifiche apportate al decreto si riducono ulteriormente sia i tempi, sia i costi della mediazione, nei casi in cui questa sia obbligatoria. Una ripresa e uno sviluppo delle procedure Adr è necessario al nostro «Sistema Paese», soprattutto in un momento di grave crisi economica. La mediazione ha dimostrato di alleggerire il carico delle controversie nei tribunali e di essere una fonte di risparmio per cittadini ed imprese, in quanto i costi della giustizia sono di gran lunga più onerosi.
Del resto non si può più pensare che il processo sia l’unico strumento adatto a risolvere i conflitti. Qui in Italia è, forse, quello maggiormente conosciuto ma è anche quello più dispendioso, sia in termini economici che in termini di pace sociale.
Il prof. Frank Sander, dell’università di Harvard, conosciuto come il pioniere della mediazione, nel 1976 a Minneapolis durante i lavori della Pound Conference, la «Conferenza nazionale sulle cause dell’insoddisfazione popolare nei confronti dell’amministrazione della giustizia», introdusse il concetto ormai divenuto celebre della multi-door Courthouse. Rispetto a una crescente domanda di giustizia, la risposta non può essere solo il processo e soprattutto non è detto che sia sempre quella adeguata.
Lo sviluppo delle procedure stragiudiziali, la mediazione e anche altri sistemi permettono al cittadino e all’impresa di scegliere quale sia lo strumento maggiormente adatto alla risoluzione del conflitto e anche di comprendere che molti conflitti possono essere risolti dalle parti, adeguatamente supportate dal mediatore, in piena autonomia e senza la necessità di ricorrere a giudizi esterni.
Le procedure conciliative esplicano spesso i loro migliori effetti quando le parti hanno interesse a salvaguardare la relazione, continuare la partnership, affrontare e risolvere i conflitti emotivi, decidere insieme la sorte della controversia, generando soluzioni creative ed alternative.
Il mediatore è un conflict manager, una persona in grado di permettere alle parti di vivere il conflitto come un momento di confronto, durante il quale uscire dal proprio personale sequestro emotivo e rivivere e ridisegnare il rapporto con l’altro; una opportunità per esplorare nuove soluzioni alle quali non si era pensato in precedenza. Il mediatore deve essere in grado di supportare e aiutare le parti a vivere questo cambiamento e le sue abilità e competenze proprio in questa ottica devono valutarsi.
Per svolgere il proprio compito deve formarsi adeguatamente soprattutto nelle discipline che gli consentano di aiutare le parti a muoversi nel conflitto, e a comprendere gli altrui punti di vista: i modelli di tecniche di mediazione, gli approcci e le diverse teorie negoziali, le tecniche di accoglimento delle emozioni, le tecniche di riconoscimento ed eliminazione delle distorsioni cognitive, i modelli di comunicazione, le teorie comportamentali. Durante i corsi base e di aggiornamento si incontrano tantissimi professionisti desiderosi di acquisire e sviluppare queste specifiche competenze.
Molti sono gli avvocati che frequentano assiduamente questi corsi perché consapevoli che l’essere stati per tanti anni legali di parte nei processi ha contribuito a sedimentare una preparazione e una competenza assolutamente adeguata per svolgere la propria funzione all’interno delle aule di tribunale ma, molto spesso, abbastanza distante da quella richiesta al mediatore.
Pensare a qualcosa di diverso significa continuare a confondere e a sovrapporre dei metodi di risoluzione delle controversie, quali il processo e la mediazione, molto diversi tra loro e per i quali sono necessarie competenze differenti.
Nonostante la norma ora preveda il titolo di mediatore di diritto per gli avvocati, siamo sicuri che questi ultimi, che sempre dimostrano un naturale desiderio a essere preparati e competenti in quello che fanno, continueranno a seguire i corsi base e i corsi di aggiornamento, come del resto stabilisce il loro codice deontologico, proprio perché la formazione indispensabile al mediatore si identifica solo in minima parte con la formazione giuridico-legale. Escludere l’obbligo formativo per qualcuno avrebbe come effetto quello di creare all’interno della stessa categoria dei professionisti che si formano e dei professionisti che scelgono di non farlo, con il rischio di un abbassamento della qualità dei servizi di mediazione. Le ore di formazione andrebbero semmai aumentate ed incentivate. Un corso base di sole 50 ore non è sufficiente. E non lo è per nessuno.
In tempi brevi il decreto dovrà essere convertito in legge e diversi emendamenti sono stati discussi e approvati dalle varie Commissioni preposte (Commissione giustizia, Commissioni riunite affari costituzionali e Bilancio, Finanza).
Alcuni, quelli che prevedono la completa gratuità dell’incontro di programmazione in caso di mancato accordo non sono condivisibili. In questo incontro iniziale il mediatore mette in atto in pieno la propria prestazione professionale, perché è l’unico modo che ha per verificare l’esistenza di margini di trattativa.
Prevedere la completa gratuità in caso di mancato accordo vuol dire chiedere di svolgere una prestazione senza compenso e non tenere conto degli enormi sforzi economici che gli organismi privati, il personale di questi e i mediatori, sostengono per assicurare un servizio di mediazione efficiente e di elevata qualità. Inoltre significherebbe rischiare di svuotare completamente del suo contenuto la norma sulla obbligatorietà, che da alcuni potrebbe essere facilmente aggirata.
Al contrario è opportuno prevedere regimi sanzionatori ancora più forti per i soggetti che senza giustificato motivo decidessero di non partecipare all’incontro di mediazione rendendo più oneroso il proseguimento in giudizio, così come accade in molti paesi stranieri.
Auspicare e supportare un radicamento di questo istituto vuol dire avere a cuore gli interessi generali del Paese. I dottori commercialisti e gli esperti contabili ci credono da sempre perché la mediazione ha dimostrato di esser uno strumento in grado di far risparmiare i cittadini e le imprese ed anche di costituire una affascinante opportunità di lavoro soprattutto per i più giovani. Proprio questa sua capacità di ridurre l’onerosità del sistema giustizia da un lato e creare possibilità di lavoro, soprattutto per i più giovani, ha spinto i dottori commercialisti a costituire la Fondazione Adr commercialisti che nasce da una precisa volontà di coordinare l’impegno della categoria in materia stragiudiziale e in particolare nella mediazione civile e che ieri ha tenuto in Roma la sua 2ª convention.
Riteniamo utile, come indicato in alcuni emendamenti, allargare l’area delle controversie soggette a condizione di procedibilità a quelle riconducibili alle controversie commerciali e a quelle interne delle società, associazioni ed enti associativi in genere.
La mediazione civile è una metodologia stragiudiziale che ha il suo principio fondamentale nell’autonomia delle parti e nella capacità delle stesse di individuare, negoziare e scegliere quali sono le migliori soluzioni per la propria controversia. Prevedere che solo l’accordo firmato dagli avvocati possa essere omologato e quindi diventare titolo esecutivo vuol dire costringere le parti ad avere in ogni caso una «difesa legale» con il conseguente aggravio di costi che potrebbe derivarne.
Quindi sarebbe opportuno ritornare alla previgente formulazione in base alla quale l’accordo poteva essere reso esecutivo attraverso l’omologa del presidente del tribunale, lasciando in questo modo le parti libere di farsi assistere da un legale o meno, e prevedendo eventualmente la possibilità che l’accordo diventi immediatamente esecutivo (senza ulteriore omologa) se firmato dai legali di tutte le parti, e (perché no?) se firmato dai dottori commercialisti, consulenti di parte per le materie di competenza, valorizzando in questo modo il ruolo dei professionisti dell’intero comparto giuridico-economico, senza ledere al contempo l’autonomia delle parti. L’associazione auspica che il Parlamento approvi quegli emendamenti che rafforzano l’istituto a favore del cittadino.