La Russia ha superato l’Italia. Il paese tricolore non è più l’ottavo paese più ricco del mondo ma è stato relegato al nono posto. La classifica è stata stilata dalla Banca Mondiale, una volta rivisti tutti i dati sul pil del 2012, riconvertendoli al valore del dollaro corrente.
Ragionare su questi numeri che coinvolgono la collettività non è un freddo studio ragionieristico. Il fatturato del proprio studio o impresa è una sorta di moltiplicatore del pil nel bene e nel male.
Conoscere l’andamento dell’economia nazionale consente di sapere in anteprima qual è la dinamica della propria attività al netto di eventuali interventi correttivi straordinari. Il pil è quindi una sorta di corrente di un fiume capace di trascinare in un senso o nell’altro qualunque attività. ItaliaOggi Sette ha cercato di capire quindi come si sta evolvendo e come potrebbe evolversi l’economia nei prossimi mesi e trimestri.
Fiducia delle famiglie in ripresa. Sono stati presi in considerazione cinque indicatori anticipatori, i primi a muoversi in senso positivo o negativo: la fiducia dei consumatori, quella delle imprese, poi il sentiment dei direttori degli acquisti, i nuovi ordinativi e infine la capacità di utilizzo degli impianti.
Quello che si nota è che il tentativo di risalita dal fondo è lento, fragile e allo stato embrionale ma c’è. Sono infatti gli indicatori di sentiment (la fiducia delle famiglie e quella imprese) solitamente a muoversi per prima. In particolare è consistente il progresso del primo. Al momento però è anche l’indicatore più vulnerabile, un’eventuale crisi politica generalmente lo fa cadere e dei pericoli in questo senso ci sono.
Lo scenario quindi andrebbe assolutamente scongiurato almeno sul piano economico congiunturale. Per avere un’idea dei progressi in questo senso avviati è sufficiente pensare che alla fine di gennaio di quest’anno la fiducia aveva raggiunto un minimo assoluto degli ultimi cinque anni a 85 mentre ora è a 95,7. Quota 100 è solitamente considerata una sorta di spartiacque fra pessimismo e ottimismo, c’è quindi un pessimismo che va contraendosi. La fiducia delle imprese è invece stabilizzata dalla primavera del 2012 dopo un tracollo. La caduta non è stata peggiore, però, di quello della fine 2008 e inizio del 2009. La crisi dello spread, sintetizzando, ha inciso quindi in misura più ampia e negativa sul sentiment di famiglie e consumi che sulle imprese.
Un altro dato confortante e in recupero è quello dei direttori degli acquisti, i primi e più sensibili a registrare i cambiamenti congiunturali all’interno delle aziende. L’indice che sintetizza il loro sentiment è al 49,1 molto vicino al 50, la soglia è considerata spartiacque fra recessione e espansione. Il minimo di questo indicatore fu toccato proprio alla fine del 2009 quando raggiunse 35 circa, mentre a marzo del 2011 prima della crisi dello spread sfiorò i 60.
Il migliorato sentiment dei direttori degli acquisti trova conferma nei nuovi ordinativi risultati in recupero con contrazioni via via in diminuzione rispetto ai periodi precedenti. Un’inversione partita da marzo. Tutto ciò evidenzia che la velocità della crisi si va riducendo, un segnale che generalmente anticipa un cambio di direzione. Purtroppo l’embrione del recupero economico si ferma qui. La domanda attuale non è sufficiente a spingere verso l’alto un altro indicatore anticipatore, la capacità di utilizzo degli impianti. Non c’è nuova produzione. L’indicatore ha ancora un trend discendente a 68,40. Un livello soddisfacente per questo dato è 80, un valore che non si vede in Italia praticamente da decenni, ultima volta nel 2000 (79). Nel secondo trimestre 2007 ci siamo andati molto vicini (78,6).
In attesa di conferme. Diversa è la situazione per gli indicatori che seguono: su questi la ripresa stenta ad arrivare, la situazione più dolorosa come è noto è sulla disoccupazione, il dato fra l’altro più lento in assoluto a migliorare. I progressi sul fronte del lavoro si vedono solo quando la ripresa è ben avviata. Lo sforzo necessario per migliorarla è fra l’altro importante, secondo alcuni studi, occorrono fra 1,5-2 punti percentuali positivi di pil per abbassare di un punto la disoccupazione. Al momento non registriamo questi picchi di crescita da molto tempo. Negli ultimi 12 anni siamo andati sopra il 2% solamente nel 2007 (2,20%). Tornando all’andamento delle disoccupazione nell’attuale fase il mercato del lavoro continua a inanellare dati negativi. La disoccupazione ha toccato nell’ultimo mese rilevato (giugno) il 12,20%, mentre il pil anno su anno è al -2,20%. Qualche segnale di recupero si nota sulle vendite al dettaglio e sulla produzione industriale ma si tratta, anche in questo caso, di un ritmo più lento di discesa. Andamento positivo è quello dell’inflazione. I prezzi continuano a essere sotto la soglia del 2%, senza mostrare particolare vitalità. Se i prezzi rimangono stabili e il reddito nazionale aumenta ci sono maggiori possibilità di acquisti. Il prezzo del petrolio, che incide a cascata su benzina e costi di trasporto, deve rimanere però sotto la soglia almeno dei 100 dollari al barile e in questo senso quanto sta avvenendo in Egitto non aiuta, il greggio è salito a 107.
Sperare nel 2014. Le premesse anche se fragili per un miglioramento nel 3° e 4° trimestre ci sono. Semmai questi progressi dovessero esserci però il 2013 verrà comunque chiuso in negativo, diverse sono le cose invece per il 2014. Le conclusioni sembrano concordare analizzando le previsioni delle principali banche d’affari e istituti di ricerca. La media delle stime è al -1,78% di pil per 2013 e +0,30% per il 2014.