di Roberta Castellarin

In Giappone i fondi pensione entrano nella partita messa in campo dal primo ministro Shinzo Abe per rilanciare l’economia. Il Government Pension Investment Fund, che ha asset per oltre 2 mila miliardi di dollari, aumenterà gli investimenti in azioni giapponesi per aiutare il rilancio dell’economia reale.

E i fondi pensioni hanno da sempre un ruolo chiave a Wall Street e a Londra, dove svolgono anche una funzione di controllo sulla governance delle società e sull’operato del management. Oggi il dibattito sul ruolo che possono avere i fondi pensione si è aperto anche in Italia.

Questa settimana il fondo pensione Solidarietà, attraverso il mandato di gestione affidato a Finanziaria Internazionale Investments sgr, ha investito nell’emissione obbligazionaria «Veneto per Veneto» di Veneto Banca con l’obiettivo proprio di finanziare le pmi locali.

E la scorsa settimana il direttore generale di Banca Finnat Andrea Crovetto in un’audizione alla Camera ha avanzato la proposta di fissare un vincolo di portafoglio a tutti gli investitori istituzionali affinché investano una piccola parte dei loro asset in strumenti volti a finanziare le pmi italiane.

 

Verrebbero quindi coinvolti anche i fondi pensione.

E quella dei prodotti previdenziali è un’industria giovane, ma che inizia a avere masse interessanti. Infatti i fondi pensione hanno un patrimonio in gestione che sfiora i 107 miliardi di euro, di cui circa 31 miliardi sono rappresentati dai fondi negoziali, che affidano i loro investimenti a money manager italiani ed esteri. Ma chi sono i gestori a cui si affidano i fondi negoziali? In base all’ultima analisi condotta da Mefop, il primo player in base al patrimonio gestito al 31 marzo 2013 è il gruppo Intesa Sanpaolo (Eurizon Capital eIntesa Sanpaolo Vita) con una quota del 12,8%. SegueUnipol con l’10,6%, mentre Generali gestisce il 9,3% degli asset, seguita dal 9,2% di Pioneer. Quindi i tre big italiani rappresentano circa il 40% del mercato, ma gli esteri crescono e proprio nel 2013 è in corso un forte turnover di mandati. Quest’anno sono infatti in scadenza 38 mandati. Gli asset manager esteri hanno colto l’occasione per crescere nel mercato e anche tra gli italiani c’è concorrenza per aumentare la quota di mercato. In particolare, State Street ha già raggiunto una quota di mercato dell’8,5%, appena dietro a Pioneer. Hanno una presenza importante sul mercato anche il gruppo Amundi (che conta su 13 mandati), e Credit Suisse, tutte e tre con quote di mercato superiori al 5%.

I gestori da anni sono in attesa di una revisione dei limiti d’investimento dei fondi pensione. A giugno dell’anno scorso si è conclusa la fase di consultazione per il decreto interministeriale sui limiti di investimento dei fondi pensione e sulla regolamentazione dei conflitti d’interesse. Il nuovo provvedimento del ministero dell’Economia aggiornava e rivedeva il decreto del ministero del Tesoro del 1996. L’obiettivo era adeguare la regolamentazione al mutare dei tempi finanziari e all’evoluzione normativa stessa alla luce del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva europea sui fondi pensione. Con le nuove regole i fondi pensione potrebbero avere un portafoglio più diversificato, che comprende anche investimenti alternativi o fondi specializzati nei Paesi emergenti. Un’occasione quindi per ammodernare l’asset allocation. Il decreto però non è ancora uscito. Ancora una volta quindi i fondi pensione devono attenersi alle vecchie regole del 1996. Fatta eccezione per qualche apertura effettuata dalla Covip con un regolamento ad hoc. Che ha imposto alle forme previdenziali la stesura di un apposito documento sulle politiche di investimento che intendono adottare e l’istituzione della funzione finanza. «Due disposizioni», sottolinea il presidente di Assoprevidenza Sergio Corbello, «che segnano sicuramente un punto di svolta per il settore e che si muovono nella direzione corretta, andando a imporre una crescita delle capacità di affrontare nuove e più sofisticate forme di investimento in linea con l’evoluzione dei mercati finanziari, con la piena consapevolezza della loro rischiosità. Vi sarà», aggiunge Corbello, «anche l’opportunità di valutare l’utilizzo di prodotti innovativi». Si potrebbe aprire quindi una strada affinché una parte degli investimenti arrivi a beneficiare l’economia reale. Ma tenendo sempre d’occhio il fatto che il primo obiettivo dei fondi pensione è garantire un assegno di scorta ai lavoratori al momento dell’addio al lavoro. «Non è facile trovare una sintesi tra l’esigenza di aiutare l’economia reale, aumentando quindi gli investimenti destinati alle società italiane, e dall’altra rispettare il mandato che hanno i fondi pensione, che è quello di investire negli strumenti che offrono maggiore opportunità di rendimento in modo da garantire una scorta adeguata al momento dell’addio al lavoro», ricorda Ortolani, presidente di Fonchim.

 

Nella partita giocano infatti tanti fattori. Da una parte le pensioni calcolate con il metodo contributivo vengono rivalutate in base alla crescita del pil, per cui un’economia che ristagna o che decresce avrà un impatto negativo sui futuri assegni. In questo senso quindi dare una mano all’azienda Italia avrebbe un doppio effetto benefico perché aiuterebbe anche le future pensioni, riducendo il gap previdenziale. Dall’altra parte la cautela è d’obbligo perché, proprio grazie a un approccio molto conservativo, il sistema dei fondi pensioni italiani ha attraversato indenne questi cinque anni di crisi. «Il nostro obiettivo è quello di garantire una rendita ai futuri pensionati, se questo si può fare contribuendo anche allo sviluppo dell’industria italiana ben venga. Ma la tutela dei sottoscrittori deve essere sempre al primo posto», conclude Ortolani. (riproduzione riservata)