Sibilla Di Palma
Milano L’ estate si preannuncia calda per la categoria medica. Dal prossimo 13 agosto, infatti, scatterà l’obbligo per chi opera nel settore di sottoscrivere una polizza di rc professionale. Una scadenza che si scontra con la difficoltà, da parte in particolare di coloro che operano nella cosiddetta area a rischio, ossia ginecologi, chirurghi e ortopedici, di stipulare delle coperture assicurative adeguate dal momento che molte compagnie vedono il settore sanitario come una patata bollente. La causa? Un notevole aumento delle denunce e degli importi dei risarcimenti danni per presunti casi di malpractice medica. «Negli ultimi anni si è verificato un significativo incremento del numero di denunce per errori medici da parte dei pazienti », sottolinea Roberto Manzato, direttore centrale di Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici). «Si tratta di un fenomeno noto che è stato già più volte sottolineato da medici e assicuratori e che ha visto le richieste di risarcimento presentate alle imprese di assicurazione passare dalle 10 mila di 15 anni fa alle 30 mila annue attuali», prosegue. Con un costo medio per sinistro che «attualmente raggiunge cifre tra i 30 e i 40 mila euro, mentre nei casi molto gravi sono stati risarciti anche milioni di euro». Una situazione che ha spinto le compagnie «a non voler più assicurare le categorie maggiormente soggette a contenzioso, come ortopedici, chirurghi e ginecologi», osserva Maurizio Maggiorotti,
presidente di Amami (Associazione medici accusati di malpractice ingiustamente). Con conseguenze paradossali visto che dal prossimo 13 agosto scatterà l’obbligo per i medici di assicurarsi. Senza contare che «le assicurazioni hanno aumentato il premio del 600% negli ultimi anni», prosegue Maggiorotti. «Ad esempio, i ginecologi pagano 20mila euro all’anno circa di polizza, una cifra troppo grande soprattutto per chi si sta avviando alla professione ». Un costo medio di polizza che riguarda anche chirurghi, ortopedici e professionisti che operano nell’ambito della medicina estetica. «I costi delle polizze sono in effetti lievitati per le specializzazioni più a rischio», conferma Manzato. La conseguenza è la fuga da queste specialità, ma anche la tendenza a praticare la cosiddetta “medicina difensiva”. I medici, cioè, sempre più di frequente prescrivono esami e visite specialistiche non perché effettivamente indispensabili, ma principalmente per ridurre il rischio di una denuncia per malpractice. Con costi per lo Stato, in base a una recente relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori e sui disavanzi sanitari della Camera dei Deputati, di 10 miliardi di euro (pari allo 0,75 del Pil). Un problema scottante, insomma, soprattutto considerando che «su 100 medici inquisiti solo uno in media viene condannato », aggiunge Maggiorotti. L’associazione propone per questo di istituire anche in Italia un fondo vittime e dell’alea terapeutica già in vigore in altri paesi europei. «Cioè se una persona si infetta in ospedale, un evento possibile e che non accade per colpa del medico o della struttura, interviene un fondo statale che indennizza la vittima sul modello francese». Inoltre, il contenzioso è esploso perché il paziente non rischia nulla e i giudici dovrebbero condannare alle spese di lite la parte soccombente, ossia chi avanza una richiesta di risarcimento vuota di contenuti », sottolinea Maggiorotti. Mentre secondo Mauro Longoni, vice presidente di Acoi (Associazione dei chirurghi ospedalieri italiani) e di Cineas (Consorzio universitario non profit del Politecnico di Milano che si occupa di formazione e diffusione della cultura del rischio e che ha di recente organizzato a Milano un tavolo di lavoro sul tema) «intervenire per disincentivare il ricorso massiccio al sistema penale per ottenere più velocemente un risarcimento, così come una più concreta quantificazione del danno risarcibile, e l’utilizzo di consulenti tecnici di ufficio specializzati e competenti sarebbe un modo concreto per rendere il settore più facilmente assicurabile». Infine, secondo Manzato «la giurisprudenza forse è andata un po’ oltre. Cioè si presuppone che ci debba essere un obbligo di risultato, ma la medicina non è una scienza esatta. Quindi forse val la pena di rivedere il concetto di responsabilità del medico, per esempio se quest’ultimo potesse provare di aver seguito un adeguato protocollo di cura non dovrebbe essere perseguito». Inoltre, per contenere il costo della malpractice medica «le strutture sanitarie dovrebbero mettere in atto dei processi di risk management per fare in modo che i danni non accadano, cioè implementare delle procedure per minimizzare il numero di incidenti. Oltre a corsi di formazione rivolti ai medici per aiutarli a prevenire eventuali problematiche con i pazienti», conclude. Nel grafico a destra, l’andamento dei sinistri denunciati dai medici alle compagnie d’assicurazione