I dipendenti pubblici, a domanda, possono restare in servizio fino ai 70 anni d’età per migliorare la pensione. L’amministrazione, infatti, non deve e non può collocare a riposo i lavoratori che abbiano raggiunti i limiti d’età per la permanenza in servizio fissato a 65 anni (c.d. limite ordinamentale). Lo ha stabilito il Tar Lazio nella sentenza n. 2446/13, ribaltando l’indirizzo interpretativo della riforma Fornero della pensioni per il settore pubblico e annullando la circolare n. 2/2012 dell’allora ministro per la p.a. Filippo Patroni Griffi, condivisa con ministero del lavoro, ministero dell’economia e Inps (su ItaliaOggi del 9 marzo 2012).
La pronuncia decide il ricorso di un direttore generale dell’amministrazione penitenziaria, collocato a riposo dal 1° gennaio 2013 per raggiunti limiti d’età, avendo compiuto 65 anni a dicembre 2012. Il dirigente invece avrebbe preferito restare a lavoro un altro anno, fino ai 66 anni d’età fissati quale requisito (età) per la pensione di vecchiaia. La questione è decisa con una diversa interpretazione della deroga prevista dalla riforma Fornero, la quale stabilisce che la vecchia disciplina continua a valere per i soggetti che maturano i requisiti di pensione entro il 31 dicembre 2011 (comma 14, dell’art. 24, del dl n. 201/2011). Da tale deroga la circolare n. 2/2012 aveva tratto un vincolo per le p.a.: l’obbligo di collocare a riposo a partire dal 2012, al compimento di 65 anni (limite ordinamentale), i dipendenti che nel 2011 erano in possesso della massima anzianità contributiva (40 anni) o della «quota» (era 96) o comunque dei requisiti per una pensione; ciò in quanto la riforma Fornero non ha modificato il regime della permanenza in servizio, con la conseguenza di continuare a costituire il tetto massimo di servizio fino a garantire la decorrenza della pensione, ma mai oltre. Ma per il Tar quella deroga non dice esattamente questo; anzi, afferma il contrario. Per arrivare alle proprie conclusioni, il tribunale prende in esame e confronta la predetta deroga (comma 14 dell’art. 24 del dl n. 201/2011) con un’altra deroga, cioè quella che consente al lavoratore che maturi entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e anzianità previsti dalla normativa previgente la riforma Fornero di avere la pensione sulla base della vecchie norme potendone richiedere anche la certificazione del diritto (comma 3, dell’art. 24, del dl n. 201/2011). Secondo il Tar, mentre quest’ultima deroga (comma 3) configura un diritto soggettivo dei lavoratori, l’altra deroga (comma 14) stabilisce gli effetti temporali della riforma, a prescindere dalla volontà del lavoratore. La prima (comma 3) è una salvaguardia che rende, a domanda, inopponibile al lavoratore tutta la riforma della pensioni; la seconda (comma 14) si presta a due letture. La prima lettura, seguita dalla circolare n. 2/2012, è quella per cui il legislatore ha voluto stabilire che, l’aver maturato al 31 dicembre 2011 il diritto a una pensione (nel caso della sentenza: la pensione di anzianità), rende inapplicabili i nuovi requisiti per l’altra pensione previsti dalla riforma Fornero (nel caso della sentenza: la pensione di vecchiaia, quindi la permanenza in servizio fino a 66 anni di età). La seconda lettura, seguita dal Tar, vuole invece l’inapplicabilità dei nuovi requisiti di pensione introdotti dalla riforma Fornero nei confronti dei lavoratori che, al 31 dicembre 2011, hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia «e» quelli per la pensione di vecchiaia.