Il nuovo piano industriale di Mediobanca, che sarà presentato ai mercati venerdì, segnerà una forte discontinuità per la merchant bank guidata da Alberto Nagel, nella misura in cui chiuderà l’epoca dei salotti buoni e con essa una buona parte delle logiche che hanno regolato e regolano il capitalismo di relazione.
Uno dei presupposti del nuovo piano, complici anche i vincoli imposti da Basilea III, che entreranno in vigore dal prossimo marzo, è che nessuna partecipazione è strategica, con l’eccezione delle Generali, la cui quota però è destinata a subire una sforbiciata del 3% ed essere quindi ridotta al 10% circa. Questo significa una progressiva uscita da tutti i patti di sindacato, che per anni sono stati il reticolo che ha sostenuto, nel bene e nel male, il capitalismo di relazione.
Le nuove regole sull’assorbimento di capitale da parte della partecipazioni non core delle società finanziarie hanno aiutato Nagel a velocizzare la riduzione delle attività di holding e il contestuale rafforzamento delle attività core del corporate e investment banking. Un percorso avviato da tempo, che ora subirà l’accelerazione definitiva. Un accelerazione che consentirà, fra l’altro, di aumentare ulteriormente la presenza all’estero.
Il nuovo corso di piazzetta Cuccia dovrebbe riverberarsi anche nel patto di sindacato. L’accordo, che oggi vincola il 42,03% del capitale, dovrebbe dimagrire di circa 8 punti percentuali. In linea di principio, venendo meno le logiche relazionali, dovrebbe venire meno anche l’interesse da parte di tutti coloro che hanno quote vincolate molto sottili, e in ogni caso abbondantemente sotto l’1% quando non lo 0,5%.
Tramontato il capitalismo relazionale, dovrebbe tramontare anche l’interesse ad avere quote all’interno del patto che dovrebbe essere molto meno popolato rispetto a oggi.
Il patto di sindacato, che scadrà il 31 dicembre e che dovrà essere disdettato entro il 30 settembre, sarà dunque rinnovato, ma ridotto nelle quote. I due uscenti sicuri, secondo le fonti, sono Unipol e Generali, cui fa capo rispettivamente il 3,83% e il 2% del capitale. Entrambi fanno parte del gruppo B, che raccoglie gli azionisti cosiddetti industriali. Altri soci del gruppo B potrebbero decidere di uscire, in una percentuale complessiva che viene stimata prossima al 2%, numero che consentirebbe una riduzione del patto dell’8%. I più indiziati all’uscita sono i soci che posseggono partecipazioni abbondantemente sotto il punto percentuale, che potrebbero cogliere l’occasione per liquidare la partecipazione. Nessuna novità, invece, è attesa dagli azionisti del gruppo A, i cosiddetti bancari, e dal gruppo C dei francesi. In entrambi i casi le quote quasi certamente rimarranno invariate e vincolate al patto.
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