Adriano Bonafede
Roma V enerdì prossimo, 21 giugno 2013, sarà una data storica per Mediobanca. L’amministratore delegato Alberto Nagel presenterà alla comunità finanziaria il nuovo piano industriale. Non un piano qualunque, ma un nuovo inizio. Stavolta Nagel dovrà convincere azionisti e mercato che l’istituto di Piazzetta Cuccia può davvero spiccare il volo scrollandosi di dosso quella zavorra – le partecipazioni azionarie in cinque anni hanno prodotto svalutazioni per circa 1,5 miliardi – che ha frenato la crescita dell’utile e quindi dei dividendi. Nagel dovrà spiegare quale direzione dovrà prendere Mediobanca e quale invece abbandonare. Infine, dovrà tradurre le buone intenzioni in realtà. Da quel poco che è trapelato, il nuovo progetto si baserà su un rilancio del business bancario, peraltro l’unico che in questi anni difficili ha consentito a Mediobanca di presentare un bilancio in utile. Per contro, sarà ribadito l’abbandono progressivo di tutte le partecipazioni nate nell’epoca Cuccia. A cominciare da un ridimensionamento della quota in Generali: il 13,2 % del Leone di Trieste, che rappresenta oltre due terzi del valore dell’azione di Mediobanca, sarà portato a non più del 10, liberando risorse che saranno reinvestite nel business bancario. Ma la svolta sarà più profonda: salterà la distinzione tra partecipazioni “strategiche” e di mercato. Saranno considerate tutte vendibili e dismesse via via che se ne presenterà l’opportunità o che scadranno i vari patti di sindacato in cui Piazzetta Cuccia è coinvolta. L’indicazione di marcia è segnata dagli stessi numeri. Dei tre settori che compongono il gruppo, è il “corporate & investment banking” – il cuore di Mediobanca con advisory, prestiti alle grandi imprese e operazioni straordinarie – a rappresentare il 45% dei ricavi ma oltre il 70% dell’utile prodotto (secondo i dati al 31/3/2013). Il restante utile è prodotto dal “retail & private banking”, ovvero da Compass, Che Banca!, Esperia e Cmb. L’insieme delle attività bancarie, corporate e retail, rappresentano il 90 per cento dei ricavi e il 75 per cento dell’utile normalizzato di gruppo. Soltanto dolori, invece, dal “principal investment”, ossia dalle partecipazioni, con un meno 211,5 milioni al 31 marzo scorso. La decisione di rilanciare il settore bancario è dunque quasi una necessità, così come lo è il progressivo smantellamento dell’eredità lasciata dalla vecchia Mediobanca di Cuccia, snodo cruciale del sistema finanziario italiano al centro di un reticolo di partecipazioni che dal 2008 in poi hanno però generato solo minusvalenze. Ma anche per il rilancio delle attività bancarie il mercato chiede chiarezza sulle direttrici di marcia: dove si investirà e per raggiungere quali risultati? Da dove arriveranno i guadagni? Al momento il mercato è perplesso ed esprime questa perplessità “valutando” il business bancario in maniera negativa: dal 2012 in poi (prima non è mai stato così) la somma delle parti delle partecipazioni è superiore alla capitalizzazione del gruppo. In altre parole, se Mediobanca vendesse la parte bancaria e rimanesse una holding di partecipazioni avrebbe dal mercato una valutazione più alta di quella che ha adesso. Si tratta evidentemente di un paradosso, che però alcuni analisti leggono come l’effetto dello scetticismo del mercato sulla capacità di Mediobanca di generare profitti in futuro. È per questo che il piano di Nagel dovrà spiegare alla comunità finanziaria cosa intende fare. È vero che il business bancario, in tutte le sue articolazioni, sarà il fulcro della nuova Mediobanca. Ma è anche vero che bisognerà spiegare come certe situazioni saranno risolte. A cominciare dal private banking, che con Cmb e con Esperia, la joint venture con Mediolanum, ha dato risultati deludenti, con profitti netti negativi nel 2010, 2011 e 2012. Tutto questo mentre altre realtà, come Banca Generali, Azimut e la stessa Mediolanum crescevano per masse gestite e archiviavano utili consistenti. È vero che si tratta di competitor presenti sul mass marketmentre il private banking di Mediobanca si colloca sul segmento più elevato (che ha sofferto di più negli ultimi anni) ma indubbiamente qualcosa Nagel dovrà fare. La riconcentrazione sul business bancario dovrà anche fare i conti con l’incapacità di Che Banca! di arrivare, a cinque anni dalla sua nascita, a un break even point. E anche se lo scopo della banca online è stato quello di raccogliere liquidità da reinvestire nei prestiti (della divisione Cib di Mediobanca ma anche di Compass), bisognerà trovare un equilibrio economico. Per cui si parla anche di una possibile fusione tra Compass e Che Banca!. Da ultimo, il nodo più intricato da sciogliere sarà quello della partecipazione in Generali. Anche se ridotta al 10% come sembra probabile, resterà a lungo l’asset più importante di Mediobanca. Ma i nuovi criteri di Basilea 3 prevedono a prima vista una deduzione delle partecipazioni assicurative dal capitale. Sono tuttavia possibili interpretazioni diverse, per le quali però dovrà essere messo in moto un particolare iter autorizzativo. Venerdì prossimo Nagel darà dettagliate spiegazioni anche su questo punto. L’ad di Mediobanca, Alberto Nagel (in primo piano) insieme al presidente Renato Pagliaro