Gli italiani investono ogni anno poco più di sette miliardi nei fondi pensione, mentre spendono 24 miliardi per il gioco d’azzardo. Può bastare questo confronto a dare un’idea di come tanti immaginano di costruire il proprio futuro. Eppure il tema della previdenza integrativa si fa sempre più urgente non solo per i giovani (chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 non potrà più contare sull’integrazione dello Stato, per cui riceverà soltanto una pensione frutto dei contributi versati), ma anche per i lavoratori più avanti con gli anni, considerato che il blocco degli stipendi imposto dalla crisi e l’ultima riforma Fornero renderanno sempre meno soddisfacente la pensione statale. Dunque è il momento di fare una scelta tra i vari strumenti disponibili, soppesando rendimenti passati, prospettive di crescita, fiscalità e rischi.
Un futuro da costruire mattone per mattone. I cinquantenni di oggi andranno in pensione con un assegno non superiore al 65-70% dell’ultimo stipendio e la situazione tenderà a peggiorare successivamente, con gli attuali quarantenni che nel migliore dei casi (a fronte cioè di carriere in progresso e non troppo discontinue) vedranno dimezzato il proprio reddito. Quanto basta per iniziare subito a costruire, mattone dopo mattone, una vecchiaia serena, destinando una quota dell’attuale reddito (non inferiore al 6-7%) alla previdenza integrativa. Un ragionamento che vale a maggior ragione per i lavoratori autonomi, che non hanno diritto al Tfr.
Incentivi fiscali per fondi pensione e pip. Il legislatore ha messo a punto normative di favore per chi sceglie i fondi pensione o i piani assicurativi. Il sottoscrittore di questi prodotti può portare in deduzione dal reddito fino a un massimo di 5.165 euro ogni anno, il che comporta un risparmio sulle tasse da pagare tra 1.100 e 2.200 euro (è tanto più alto quanto più elevato è il reddito). Inoltre, a differenza degli altri investimenti, non paga alcuna imposta di bollo (che da quest’anno ammonta all’1,5 per mille, andando a colpire anche i possessori di conti deposito), mentre l’imposta sui guadagni maturati ammonta all’11%, contro il 12,5% dei titoli di Stato e il 20% di tutti gli altri investimenti (dalle azioni alle obbligazioni, dagli Etf ai fondi comuni). Le agevolazioni fiscali riguardano anche la fase successiva all’accumulo: le prestazioni, rendita o capitale, percepite (al netto dei contributi non dedotti e dei rendimenti già assoggettati a imposta durante la fase di accumulo) saranno soggette a un prelievo massimo del 15%, con l’aliquota che scenderà dello 0,3% per ogni anno di partecipazione oltre il 15esimo e fino al 35esimo. Questo significa che un aderente che raggiunge i 35 anni di permanenza nella forma previdenziale usufruirà di una tassazione del 9%.
Detto dei punti comuni tra fondi pensione e pip, passiamo ad esaminare le differenze. Innanzitutto i prodotti assicurativi presentano un contenuto di protezione del capitale investito, ma l’altra faccia della medaglia è costituita da costi di gestione doppi o tripli rispetto ai fondi pensione (spesso il prelievo annuo supera il 2%). Quanto a questi ultimi, inoltre, non sono tutti uguali: vi sono quelli chiusi e quelli aperti. Inoltre vi sono differenti linee di investimento, dai monetari ai bilanciati, fino ai dinamici. Proprio la presenza di numerose opzioni a disposizione rende complicato un confronto tra questi prodotti e il Tfr lasciato in azienda. Per fare un esempio, l’ottimo 2012 vissuto dai mercati finanziari ha portato i fondi pensione a un rendimento medio del 7,8% per quanto concerne i prodotti chiusi e dell’8,6% per gli aperti, più del doppio rispetto alla rivalutazione del trattamento di fine rapporto (+3,3%), data dalla somma tra l’1,5% garantito e il 75% dell’inflazione annua. Ma, in anni passati le cose sono andate diversamente. Guardando al lungo periodo, negli otto anni di monitoraggio pubblico, la previdenza complementare ha fatto meglio del Tfr cinque volte.
Le soluzioni fai-da-te. La terza opzione per costruirsi una pensione di scorta è data dalle strategie fai-da-te. Il plurale è d’obbligo considerato che in questo caso non esistono regole precise, né vincoli, ma tutto è affidato alle disponibilità e alle scelte del singolo risparmiatore. Proprio questo aspetto rappresenta un primo termine di paragone con fondi pensione e pip: se da un lato le scelte individuali garantiscono maggiore flessibilità nei versamenti, dall’altra si prestano ad accantonamenti irregolari, con il rischio di pagare un conto salato alla fine. Quanto alla fiscalità, non sono previsti trattamenti di favore: l’imposta sui guadagni segue le regole della singola asset class, quindi il 20% su tutto tranne i titoli di Stato (al 12,5%). Inoltre non è consentita la deducibilità di quanto versato, mentre i vantaggi emergono al momento di beneficiare delle somme investite perché queste non saranno soggette a prelievi.
Tutti questi pro e contro andrebbero soppesati nel momento della scelta, con la consapevolezza che comunque non esiste un’opzione sicuramente migliore delle altre, considerato che entrano in gioco tante variabili, dal reddito individuale all’andamento dei mercati nell’arco di diversi decenni, fino alle dinamiche dei prezzi.
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