Pagina a cura di Debora Alberici  

Giro di vite della Suprema corte sulla responsabilità amministrativa degli enti. È, infatti, soggetto a confisca in virtù delle norme contenute nella cosiddetta 231 il denaro che la società ha risparmiato per via dell’evasione fiscale commessa in suo favore dell’amministratore. È quanto ha sancito la Corte di cassazione con la sentenza n. 19035 del 2 maggio 2013.

Il caso. Il Collegio di legittimità ha confermato la misura sui depositi bancari di una srl il cui amministratore era finito nel mirino degli inquirenti per evasione Iva e Irap. Il Tribunale di sorveglianza aveva confermato la misura reale. Ora la Suprema corte l’ha resa definitiva.

Inutile il ricorso depositato al Palazzaccio dalla difesa del manager. In particolare, ad avviso del legale, a carico della società non può sussistere una responsabilità di tipo oggettivo. A questa obiezione i supremi giudici hanno risposto che le disposizioni dettate dal dlgs n. 231/01 hanno introdotto un nuovo genere di autonoma responsabilità amministrativa dell’ente in caso di commissione, nel suo interesse o vantaggio, di un reato da parte di soggetto che in quell’ente ricopre una posizione di vertice. Si tratta di una nuova forma di responsabilità che, lontano dal costituire una atipica ipotesi di responsabilità oggettiva, integra invece una responsabilità collegata alla mancanza di organizzazione da parte del soggetto di vertice che non ha evitato la perpetrazione dell’illecito penale. E ancora, la tesi del manager poggia sul fatto che le somme sottoposte a vincolo non hanno alcun riferimento con il soggetto che avrebbe conseguito il profitto. Tale profitto, individuabile, secondo la difensiva, in un risparmio fiscale non poteva comunque portare al sequestro, mancando la dimostrazione che le somme rinvenute nella abitazione del manager provenissero da disponibilità delle società.

 

Le motivazioni. La terza sezione penale ha respinto tutti i motivi presentati dalla difesa rendendo il verdetto del Tribunale di sorveglianza definitivo e senza possibilità di appello. In particolare, ad avviso del collegio la tesi non è fondata, avendo, invece, il Tribunale dato adeguata risposta affermando, sulla base delle verifiche effettuate dalla Guardia di finanza, ma anche sulla base delle indagini bancarie e delle stesse intercettazioni, che in realtà si trattava di somme custodite dall’uomo per conto delle varie società da lui amministrate, non presenti nelle casse sociali. In altri termini il patrimonio è sequestrabile in quanto profitto del reato tributario ottenuto anche da ditte e società riconducibili all’indagato. Ciò perché sono sequestrabili i beni di cui il reo abbia la disponibilità quale titolare o amministratore di società che hanno beneficiato di tali profitti.