La consulenza finanziaria nata nel 60, nel giro dei primi vent’anni si è affermata come professione. La felice interazione tra gli operatori e alcune strutture, per prime Fideuram e Dival, dette vita alla professione e al mercato del risparmio gestito. Alla fine degli anni 80, su pressione dei consulenti finanziari e della loro associazione, l’Anasf, lo Stato, preso atto della delicatezza del ruolo assunto da questi ultimi, che si erano già regolamentati con l’Albo di autodisciplina, istituì l’Albo professionale della categoria, riservando ai soli iscritti l’offerta fuori sede. Nell’occasione i consulenti furono espropriati della loro definizione professionale e obbligati ex lege a chiamarsi Promotori finanziari (Pf), denominazione molto lontana da quella di un professionista.
Lo Stato comunque ha creato una riserva di mercato, obbligando gli intermediari a servirsi solo dei Pf per l’offerta fuori sede, e allo stesso tempo ha garantito ai cittadini la possibilità di avvalersi dell’assistenza di un professionista, all’esterno delle sedi degli intermediari. I Pf per potersi recare presso i clienti devono essere iscritti all’Albo di categoria al quale si accede dopo aver superato un esame abilitante o ottenuto l’iscrizione perché in possesso di specifici requisiti.
Il Promotore, soprattutto il neofita, invece di far conoscere al proprio cliente queste peculiarità, si avvale come referenza del brand dell’intermediario da cui ha ricevuto il mandato. Questa prassi si riscontra spesso anche quando il Pf è affermato e riconosciuto, perché ha un portafoglio di milioni di euro, centinaia di clienti e molti anni di attività. È comprensibile che con un imprinting simile l’attività dei Promotori non sia ancora identificata come una professione. Essi hanno un’innata capacità di comunicare, dovrebbero promuovere se stessi e la propria professione. Se i Pf non si recassero dai clienti questi, per non correre rischi, dovrebbero rivolgersi direttamente agli intermediari, in una posizione però subalterna: quella di chi chiede, nella maggior parte dei casi senza una conoscenza degli strumenti finanziari disponibili e senza alcuna consapevolezza dei propri obbiettivi, e non di chi riceve un’offerta. È altrettanto importante render noto ai clienti che solo i Promotori sono legalmente in grado di svolgere quest’attività, vietata a tutti i non iscritti all’Albo, siano pure dipendenti o anche dirigenti degli intermediari. I Pf possono avvalersi di supporti come la Carta dei diritti dei risparmiatori redatta dall’Anasf. I Promotori, in attesa di riappropriarsi del proprio titolo di consulente, se promuovessero se stessi ne trarrebbero vantaggi in termini d’immagine e clientela.
Il marketing professionale può essere integrato da quello personale, senza collidere con quello aziendale. Le iniziative potenziali sono molteplici, basta un esempio. Un’iniziativa diffusa è quella di costituire delle community virtuali. Tuttavia i social network, seppure molto efficienti, sono poco soddisfacenti sotto l’aspetto delle relazioni umane. Fondamentale invece è, per esempio, la gestione dell’emotività del cliente, che è parte fondamentale dei compiti di un promotore. In alternativa il Pf potrebbe invece promuovere una community reale tra le persone che si avvalgono della sua professione, selezionando tra i propri clienti un certo numero di professionisti, personaggi, artisti, imprenditori e così via che, per caratteristiche personali nello svolgimento della propria attività, sono in grado di offrire valore aggiunto ad altre persone ottenendo in cambio la possibilità di conoscere persone con le quali non potrebbero venire in contatto altrimenti. Il Promotore potrebbe organizzare dei mini eventi incentrati sulla comunicazione di un professionista, per esempio su una novità: un commercialista che parla di una nuova imposta, invitare un po’ dei propri clienti che possano essere interessati a informarsi. È sufficiente chiedere ai clienti giusti se può far loro piacere avere un’opportunità del genere e quale argomento vorrebbero trattare. Questa è una possibile modalità per creare una community reale di professionisti e non solo, di persone che godono del privilegio di essere valorizzati e acquisire visibilità o di conoscere argomenti nuovi e persone cui potersi rivolgere in caso di bisogno di una prestazione professionale, il tutto reciprocamente. La difficoltà è pensare, pianificare, organizzare e promuovere questi mini meeting. (riproduzione riservata)