Uno dei capisaldi della politica previdenziale europea in considerazione è rappresentato dal concetto di invecchiamento attivo. L’Europa invecchia infatti con un passo decisamente accelerato. Secondo i dati dell’Ecofin nel 2060 la popolazione totale sarà poco più numerosa (517 milioni, contro 502 milioni nel 2010), ma molto più anziana; secondo le proiezioni, il 30% degli europei avrà almeno 65 anni passando in termini numerici da 87,5 milioni a 152,6 milioni, mentre la parte della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni è destinata a scendere dal 67 al 56% con una diminuzione in assoluto di 45.600.000 unità. La percentuale dei più giovani (0-14 anni) dovrebbe restare costante mantenendosi al 14% con una crescita però degli ultraottantenni che aumenterebbe nettamente dal 5 al 12%. Davvero di particolare importanza è poi la speranza di vita alla nascita che dovrebbe salire da 76,7 anni nel 20120 a 84,6 nel 2060 per gli uomini e da 82,5 a 89,1 anni per le donne. Attenendosi alle raccomandazioni in materia pensionistica della Commissione europea alcuni Stati membri cercano di ritardare il momento del pensionamento aumentando il numero di contributi annuali necessari per ottenere una pensione massima (Francia) o collegandolo all’aumento della speranza di vita (Repubblica Ceca, Grecia, Italia). Altri collegano il livello delle prestazioni pensionistiche all’aumento della speranza di vita (Portogallo), mentre alcuni fanno dipendere i livelli delle prestazioni dall’equilibrio finanziario del regime pensionistico (Germania, Svezia), su cui peseranno i mutamenti demografici e l’aumento della speranza di vita. La maggior parte degli Stati membri offre la possibilità di maturare una pensione più elevata prolungando il periodo di attività professionale. Altra raccomandazione, cui il nostro Paese deve essere particolarmente sensibile, è proprio quello a un invecchiamento attivo. Attualmente in Europa si trascorre in pensione circa un terzo della vita adulta e questa percentuale aumenterà. Il tasso di attività è ancora troppo basso nelle classi di età appena al di sotto dell’età pensionabile e i progressi appaiono ancora troppo limitati. Si auspica pertanto un incremento del tasso di partecipazione al mercato del lavoro rafforzando la crescita economica e dare solide basi a pensioni adeguate e sostenibili. A questo si aggiunge anche una forte spinta data dalle sempre più rilevanti questioni di sostenibilità economica che le evoluzioni demografiche implicitamente recano con sé, e che portano con forza il tema dell’invecchiamento attivo nelle agende dei decisori politici, sia nella scala sovranazionale che nazionale. Nel nostro Paese si sono introdotte alcune misure in materia di previdenza obbligatoria che tendono a incentivare la prosecuzione della vita lavorativa, come la flessibilità del pensionamento, con un ritorno alla filosofia originaria della riforma Dini e quindi coerente con la estensione del metodo contributivo. È possibile scegliere il pensionamento in una forchetta di età con applicazione dei relativi coefficienti di trasformazione del capitale accumulato con il metodo contributivo calcolati fino a 70 anni. Per gli uomini (e dipendenti pubbliche) il range è 66-70 anni, per le donne 63-70 anni. Per quanto riguarda la previdenza integrativa ci sono due disposizioni di riferimento, entrambe frutto di orientamenti specifici della Covip. In primo luogo la possibilità di iscrizione ai fondi pensione anche per il pensionato di anzianità, a patto che l’iscrizione avvenga almeno un anno prima del compimento dell’età pensionabile per il trattamento di vecchiaia. Sempre in tema di previdenza integrativa va nella stessa direzione anche la possibilità da parte dell’aderente di proseguire volontariamente la contribuzione ai fondi pensione oltre l’età pensionabile. (riproduzione riservata)
Pensione rimandata
di Carlo Giuro