Nei primi due mesi del 2013 le gestioni di portafoglio istituzionali hanno registrato una raccolta netta positiva per 4,2 miliardi di euro con un patrimonio che si attesta a 583 miliardi in base ai dati Assogestioni. In parte si tratta dei mandati di gestione dei fondi pensione negoziali, che affidano gli investimenti a money manager italiani ed esteri.
Ma chi sono i gestori a cui si affidano i fondi negoziali? In base all’ultima analisi condotta da Mefop, il primo player in base al patrimonio gestito al 30 settembre 2012 è il gruppoIntesa Sanpaolo(Eurizon Capital e Intesa Sanpaolo Vita) con una quota del 13,6%. Segue Unipolcon l’11,6%, mentre Pioneer gestisce l’8,4% degli asset. Quindi i tre big italiani rappresentano oltre un terzo del mercato, ma gli esteri crescono e proprio nel 2012 c’è stato un forte turnover di mandati. L’anno scorso infatti sono scaduti 60 mandati su 230 per un volume di asset vicino a 10 miliardi, un terzo del totale gestito dai fondi negoziali. E quest’anno ne scadono altro 38.
Gli asset manager esteri hanno colto l’occasione per crescere nel mercato e anche tra gli italiani c’è concorrenza per aumentare la quota di mercato.
Questi mandati fanno gola perché consentono flussi di raccolta costanti grazie al contributo del Tfr.
Nel 2012 i fondi pensione negoziali hanno registrato una raccolta netta di 2,5 miliardi, mentre i fondi aperti hanno avuto flussi positivi per 795 milioni. Un flusso interessante per asset manager italiani ed esteri che, come nel mondo dei fondi aperti, stanno prendendo sempre più piede.
In particolare, State Street ha già raggiunto una quota di mercato dell’8,51% ed è quindi davanti al gruppo Generali, che a fine settembre aveva una quota di mercato del 7,53%. Hanno una presenza importante sul mercato anche il gruppo Amundi (che conta su 13 mandati), Allianz e Credit Suisse, tutte e tre con quote di mercato superiori al 5%.
Nei giorni scorsi ha rinnovato i mandati anche Fondapi, fondo pensione negoziale della piccola e media impresa (metalmeccanici, chimici, tessili, grafici, alimentaristi, informatici ed edili). La nuova gestione avvierà l’attività in aprile. Le risorse del comparto Prudente (75% obbligazioni, 25% azioni) saranno affidate in parti uguali a Pimco e a Jp Morgan per quanto riguarda le obbligazioni. Ad Anima e Ing il restante 25% dedicato alle azioni. Il comparto Crescita (50% obbligazioni, 50% azioni) vedrà impegnati, in parti uguali, Pimco sulle obbligazioni e Anima sulle azioni. A Ugf (Unipol) è stata riconfermata la gestione del comparto Garanzia, un bilanciato con il 92% di obbligazioni e l’8% in azioni.
In generale, nel 2012 sono stati rinnovati, dopo cinque anni dal semestre del silenzio-assenso, molti mandati garantiti. Una parte delle linee garantite lanciate nel 2007 offrivano un rendimento pari a quello del Trattamento di fine rapporto (Tfr), ossia il 75% dell’inflazione più l’1,5%, grazie a convenzioni stipulate dai fondi pensione con le compagnie assicurative. Con quanto è accaduto in questi anni sui mercati obbligazionari fissare un rendimento minimo garantito è sempre più difficile. Ed è per questa ragione che molti mandati avranno una durata più lunga rispetto al passato, si passerà da 5 a 10 anni. Per esempio, a fine gennaio si è concluso il mandato diUnipol Assicurazioni che per cinque anni ha gestito il comparto Linea Garantita di Laborfonds (fondo pensione complementare per i lavoratori dipendenti dai datori operanti attivi del Trentino Alto Adige). Il nuovo mandato di gestione è affidato a Pioneer Investment Management sgr. Con il passaggio al nuovo gestore non mutano le caratteristiche della linea e quindi l’orizzonte temporale di investimento (fino a cinque anni) e la finalità del comparto che rimane la realizzazione di rendimenti almeno pari a quelli del Tfr con garanzia di restituzione del capitale. Ma precisano dal fondo: «In seguito all’andamento dei mercati e dei tassi negli ultimi anni nonché alle conseguenti modifiche intervenute nelle condizioni di garanzia riconosciute ai fondi pensione da parte dei gestori finanziari, non è stato possibile invece continuare a offrire agli aderenti un rendimento minimo garantito pari in precedenza a un rendimento medio annuo composto del 2%».
Questa strada è stata percorsa dalla maggioranza dei fondi che hanno detto addio al rendimento minimo garantito, sempre più difficile da raggiungere in un momento di tassi di interesse ai minimi. I gestori, poi, da anni sono in attesa di una revisione dei limiti d’investimento dei fondi pensione. A giugno dell’anno scorso si è conclusa la fase di consultazione per il decreto interministeriale sui limiti di investimento dei fondi pensione e sulla regolamentazione dei conflitti d’interesse. Il nuovo provvedimento del ministero dell’Economia aggiornava e rivedeva il decreto del ministero del Tesoro del 21 novembre 1996. L’obiettivo era adeguare la regolamentazione al mutare dei tempi finanziari e all’evoluzione normativa stessa alla luce del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva europea sui fondi pensione. Con le nuove regole i fondi pensione potrebbero avere un portafoglio più diversificato, che comprende anche investimenti alternativi o fondi specializzati nei Paesi emergenti. Un’occasione quindi per ammodernare l’asset allocation. Il decreto però nei mesi scorsi non è mai uscito e quindi è probabile che se ne dovrà occupare il futuro governo. Ancora una volta quindi i fondi pensione devono attenersi alle vecchie regole del 1996. Fatta eccezione per qualche apertura effettuata dalla Covip con un regolamento ad hoc.
D’altro canto sarebbe ora che un po’ di attenzione fosse rivolta anche alla previdenza complementare. La riforma Monti-Fornero ha concluso un lungo iter di cambiamenti della previdenza pubblica che hanno messo in sicurezza i conti dello Stato, ma con la conseguenza di allontanare il momento dell’addio al lavoro fino anche ai 70 anni di età. Ma il problema non è solo quello del quando si potrà andare in pensione, bensì anche di quale assegno è lecito aspettarsi. E qui la nota è dolente. Come ha ricordato Giuliano Amato durante la presentazione del master in economia e diritto della previdenza complementare alla Luiss: «Quanto ai giovani, quando arriveranno alla pensione dopo uno slalom tra diversi lavori si troveranno con una pensione miserabile con cui non potranno vivere e si troveranno a dormire in auto». Il rischio, per Amato, è quindi una «possibile rivolta che non sarà pacifica come quella del Movimento 5 Stelle». Dunque, conclude, «servono meccanismi equilibratori sul piano sociale». Amato propone un «contributo di solidarietà all’interno del sistema pensionistico per diminuire il gap tra le pensioni ricche e quelle povere». Per l’ex premier basterebbe che il 6% dei contributi totali andasse ai pensionati che percepiscono 400 euro al mese per portare i loro assegni a mille euro al mese. Infatti, prosegue Amato, «non è possibile che lo Stato dia ad alcuni molto più di quello che serve loro e a molti versi meno del necessario per vivere».
In attesa che la politica ascolti l’appello di Amato sono urgenti anche interventi volti a favorire la creazione di una pensione di scorta, che integri l’assegno futuro. Sottolinea il presidente di Covip Antonio Finocchiaro: «L’invecchiamento della popolazione, sommandosi agli involontari periodi di inattività con i conseguenti vuoti contributivi, alle basse retribuzioni, a tassi di crescita del prodotto limitati o addirittura negativi, a un mercato del lavoro che si sta caratterizzando per una vera e propria esplosione della disoccupazione giovanile, nonché agli effetti, non sempre positivi per i futuri pensionati, dell’ultima riforma del sistema pensionistico obbligatorio, fa tabula rasa di alcune recenti affermazioni circa la sopravvenuta inutilità del sistema previdenziale complementare e della sua capacità di ridurre l’area di disagio sociale nella terza età. Si tratta invece di un sistema», continua Finocchiaro, «da consolidare, irrobustire, rilanciare con interventi già individuati o da identificare, se si vuole evitare alle generazioni di lavoratori più giovani una vecchiaia di ristrettezze e con un tenore di vita di molto inferiore rispetto a quello del tempo del lavoro». (riproduzione riservata)