Gli armatori italiani preparano la strategia difensiva contro le nuove regole di vigilanza bancaria internazionale imposte da Basilea III e chiedono che l’ipoteca navale venga riconosciuta ai fini della mitigazione del rischio, come avviene ad esempio nel settore immobiliare.
Il dossier è stato affrontato in occasione dell’ultimo tavolo tecnico organizzato da Confitarma insieme ad Abi e ai sette gruppi bancari italiani che si occupano di shipping.
Fabrizio Vettosi, direttore generale di Venice Shipping & Logistics e vicepresidente della commissione finanza di Confitarma, ha spiegato a MF Shipping & Logistica che «prima della crisi, con l’applicazione dei requisiti di Basilea II imposti alle banche, un conservativo progetto di finanziamento shipping aveva una classe di rating alta (4-7) con conseguente assorbimento di patrimonio in linea con i precedenti requisiti, se non meglio.
Vettosi prosegue spiegando che come per Confitarma l’obiettivo è «ottenere un’integrazione negli accordi di Basilea III per introdurre il riconoscimento dell’ipoteca navale ai fini della mitigazione del rischio come avviene ad esempio nel settore immobiliare. Nessuna industria è in grado come lo shipping di offrire garanzie fisiche così solide». Il notevole calo dei prezzi per gli asset navali, secondo l’analisi presentata dal direttore generale di VSL, ha portato il Loan to Value (il rapporto tra il valore dei finanziamenti e il prezzo delle navi finanziate) su stime globali vicine se non superiori al 100%. Tuttavia, ha sottolineato Vettosi, «rispetto ad altre industrie permane una rilevante capacità cauzionale rappresentata dalla qualità degli asset e del loro stesso valore». Tradotto significa che le banche, anche in caso di default della shipping company finanziata, cadono in piedi perché riescono praticamente a rientrare per intero della somma prestata. Se l’ipoteca navale (di primo grado) venisse anch’essa riconosciuta nei criteri introdotti da Basilea III questo comporterebbe una riduzione del fabbisogno patrimoniale della banche, che a sua volta si tradurrebbe in una riduzione del pricing per i finanziamenti.
In occasione del tavolo tecnico tra Abi, banche e Confitarma è stato fatto anche il punto sul credito allo shipping che, secondo Vettosi, «in Italia (mercato esposto per circa 12 miliardi di dollari e per l’80% in pancia a banche nazionali) risulta essere chiuso e rarefatto così come avviene in Francia. Ancor peggio se la passa la Germania (esposizioni per oltre 60 miliardi) alle prese con l’indebitamento dei fondi KG, mentre leggermente migliore è la situazione della Grecia (dove l’esposizione è di circa 100 miliardi) dove gli armatori, anche negli anni di boom, hanno fatto un uso moderato della leva finanziaria. Gli Stati Uniti si confermano il Paese migliore per il mercato dei capitali (l’esempio di Scorpio Tankers è evidente) mentre l’area scandinava sembra essere in questo momento quella più generosa sul fronte dei finanziamenti navali».
Guardando allo scenario mondiale si nota che la componente prevalente del funding continua a essere il finanziamento bancario (oltre 430 miliardi di dollari) mentre l’apparente rilevante componente di private equity (oltre 350 miliardi) è gonfiata dal sistema dei fondi tedeschi KG che pesano per circa 40 miliardi. Le emissioni obbligazionarie valgono invece appena 32 miliardi di dollari sul totale di 800 miliardi di dollari di indebitamento dell’industria shipping.
I volumi di credito a disposizione degli armatori sono drammaticamente calati nel 2012 attestandosi secondo le prime stime attorno ai 30 miliardi di dollari nei quali sono però considerati anche i rifinanziamenti. Questo, ha concluso Vettosi, «è la prima causa del crollo dei nuovi ordini (-60%): una medicina amara, ma che farà bene per ribilanciare domanda e offerta di stiva sul mercato». (riproduzione riservata)