Pochi giorni fa la Fitch, la più piccola delle «tre sorelle», aveva declassato l’Italia da A- a BBB+. Appena tre tacche sopra il livello di spazzatura. Adesso sembra la volta di Moody’s. Le motivazioni sono tra le più ovvie: difficoltà di formare un governo dopo il risultato inconcludente delle elezioni. Sono considerazioni che un qualsiasi cittadino fa. La differenza sta negli effetti deleteri del rating sulla nostra economia e sulla finanza pubblica.Non si tratta quindi di ignorare le difficoltà in cui versa il nostro Paese, ma di chiederci perché sempre tanta sudditanza di fronte alle agenzie di rating.
Si ricordi che esse sono imprese private. Sarebbe auspicabile che le autorità economiche, sia italiane che europee, ridimensionassero la portata delle loro valutazioni. In merito si rammenti che il governo Obama, all’inizio dello scorso febbraio, ha denunciato per frode la Standard & Poor’s, la maggiore delle tre agenzie, chiedendo un risarcimento di 5 miliardi di dollari. Il ministero di Giustizia americano ha documentato che la S&P ha manipolato i rating sui derivati, soprattutto quelli legati alle ipoteche immobiliari, coprendo i rischi reali e in questo modo aiutando a creare una gigantesca bolla speculativa.
Nel nostro paese, invece, c’è chi ancora sottovaluta le indagini della Procura di Trani nei confronti delle agenzie di rating. Secondo noi ben fa la Procura, in considerazione anche del fatto che negli Usa una commissione d’indagine del senato afferma che: «La crisi non è stata un disastro naturale, bensì il risultato di alti rischi, prodotti finanziari complessi, conflitti di interesse coperti, il fallimento degli organi di controllo, il ruolo delle agenzie di rating e dello stesso mercato che hanno permesso e guidato gli eccessi di Wall Street».
Già nel 2010 la Fcic, Financial Crisis Inquiry Commission, la Commissione indipendente di indagine sulla crisi voluta dal Congresso, affermava: «Noi sosteniamo che il fiasco delle Agenzie di rating sia stato un elemento essenziale del meccanismo distruttivo finanziario. Esse sono state le promotrici chiave del meltdown finanziario, cioè della dissoluzione sistemica. Non si sarebbe potuto vendere i titoli ipotecari, che sono stati al cuore della crisi, senza il loro timbro di approvazione. Gli investitori si sono ciecamente fidati dei loro giudizi. In alcuni casi il loro rating era obbligatorio. La crisi non sarebbe potuta accadere senza le Agenzie di rating. Tra il 2007 e il 2008 il loro rating prima ha fatto salire i mercati e poi, con l’abbassamento repentino delle loro valutazioni, li ha fatti precipitare».
La recente legge di riforma finanziaria americana, la «Dodd-Frank», stabilisce che le agenzie di rating hanno carattere commerciale e pertanto devono possedere i requisiti e sottostare ai controlli previsti per le banche di investimento. Nonostante le disposizioni della citata legge, la loro arroganza è enorme. Tanto che la S&P accusa il governo americano di violazione del primo emendamento della Costituzione che garantisce la libertà di parola. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, la S&p avrebbe speso ben oltre 3 milioni di dollari nelle azioni di lobby per annacquare la riforma Dodd-Frank. Il potere delle agenzie di rating sembra maggiore finanche di quello delle banche. Sembrano possedere l’autorità di una «loggia superiore».
D’altronde in certi momenti cruciali della storia passata anche gli oracoli furono istituzioni più potenti degli stessi imperatori e degli eserciti in quanto incidevano sugli orientamenti culturali dei popoli oltre che sulle strategie operative dei governanti.