di Roberta Castellarin e Paola Valentini

Uomini e donne sono uguali di fronte alle rendite, ma i fondi pensione no. Questo che cosa vuol dire dal punto di vista dell’ammontare dell’assegno? Per un lavoratore di 65 anni che abbia un montante di 100 mila euro la rendita è di 4.551 euro se è maschio e di 3.960 euro se è femmina, in base a una simulazione presentata dall’Ordine degli attuari. Se si sceglie un rischio medio e non si fa distinzione, la rendita diventa di 4.256 euro, che vuol dire un assegno più alto del 7% per la donna e uno più basso del 6,7% circa per l’uomo. Finora le compagnie assicurative che trasformano il montante accumulato dal sottoscrittore di polizze o fondi pensione in assegni integrativi hanno usato condizioni di conversione più sfavorevoli per le donne, in ragione della maggiore speranza di vita che la statistica assegna loro rispetto agli uomini. Ma il 21 dicembre 2012 è entrato il vigore il divieto di usare tabelle differenziate per sesso nei contratti di assicurazione in seguito alla sentenza della Corte di giustizia Ue del 1° marzo 2011. «Ma la sentenza non si è pronunciata sulle coperture assicurative nell’ambito della previdenza complementare di natura collettiva», spiega Mefop. Da successive spiegazioni arrivate dalle istituzioni comunitarie è stato chiarito che la regola unisex, oltre a non valere per i contratti stipulati prima del 21 dicembre 2012, non si applica alle coperture assicurative offerte da forme di previdenza complementare collettive anche se attuate mediante convenzioni assicurative con compagnie, ovvero fondi pensione negoziali e fondi pensione aperti che hanno siglato un accordo con il datore di lavoro per l’adesione dei dipendenti dell’azienda.

 

Quindi si aprono scenari diversi in base al prodotto scelto dal lavoratore per costruire una pensione integrativa. Per le polizze Pip i contratti già stipulati entro il 21 dicembre 2012 sfuggono all’obbligo unisex, mentre se l’adesione è avvenuta dopo la differenziazione non è ammessa. «Per evitare complicazioni procedurali legate alla coesistenza di più condizioni di conversione del montante in rendita per diversi gruppi di aderenti, è possibile applicare a tutti le nuove condizioni unisex», spiega Mefop. «In tal caso, gli aderenti alla data di introduzione delle nuove condizioni, che esercitano il diritto alla prestazione pensionistica in forma di rendita nei tre anni successivi, mantengono il diritto di chiedere la rendita sulla base delle vecchie condizioni». Mentre per i Pip che prevedono nel regolamento che le modifiche delle basi demografiche hanno effetto solo con riferimento ai versamenti successivi all’entrata in vigore delle modifiche le eventuali nuove condizioni unisex riguarderanno solo i versamenti futuri.

 

Per i fondi aperti ad adesione collettiva resta la possibilità di avere condizioni diverse tra uomini e donne, mentre nel caso di adesione individuale vale la regola vista per i pip, quindi la parità uomo-donna è prevista solo per le adesioni successive al 21 dicembre. Anche in questo caso Mefop sottolinea che è possibile applicare a tutti le nuove condizioni unisex e come per i pip gli iscritti al 21 dicembre che chiedono la rendita nei tre anni successivi possono ottenere il calcolo con le vecchie regole. «Quanto ai fondi pensione negoziali, la differenziazione sarà ammessa anche dopo il 21 dicembre e anche in caso di erogazione convenzionata, indipendentemente dal fatto che l’accordo quadro con la compagnia sia stato stipulato prima o dopo la data indicata», spiega Mefop. Quanto alle prestazioni assicurative accessorie, invece, la differenziazione tra sessi potrebbe essere mantenuta nel caso in cui le coperture assicurative fossero state stipulate in applicazione di una previsione derivante da un contratto o accordo collettivo di lavoro. «La legislazione italiana presenta peculiarità, come la volontarietà dell’adesione e la possibilità di trasferimento della posizione individuale in qualsiasi momento», sottolinea Tiziana Tafaro (Ordine degli attuari). Proprio la possibilità di trasferimento della posizione individuale ogni due anni potrebbe indurre le donne iscritte a fondi negoziali o aperti sottoscritti attraverso accordi collettivi ad avere un vantaggio a trasferire la posizione in una forma di previdenza individuale all’avvicinarsi della pensione, perché perderebbero il contributo del datore di lavoro nell’ultimo periodo, ma in cambio potrebbero contare su tavole di conversione probabilmente più favorevoli. All’avvicinarsi della data della pensione sarà utile un confronto tra lo svantaggio dei contributi persi e quali tabelle di conversione offrono i diversi operatori. (riproduzione riservata)