Spazzata via la mediazione civile. Ha avuto un effetto tsunami la sentenza della Corte costituzionale dell’ottobre scorso, che ha cancellato l’obbligatorietà dello strumento di risoluzione alternativa delle controversie: secondo i dati del ministero della giustizia, infatti, a novembre, mese successivo alla decisione della Consulta, le mediazioni iscritte sono state 4.631, contro le oltre 20 mila di ottobre, che era ormai la media consolidata dopo l’allargamento dell’obbligatorietà alle ultime due materie, condominio ed rc auto. Ma non basta. Perché il dato di novembre, per di più «gonfiato» dall’esaurimento dei procedimenti in corso e avviati prima della sentenza della Consulta, significa anche che questo anno e mezzo di riforma, a livello culturale, non è servito a nulla: un numero di mediazioni così basso è infatti in perfetta linea con i risultati precedenti al marzo 2011, data di entrata in vigore del dlgs n. 28/2011. Quindi, non c’è stato nessun effetto traino dell’obbligatorietà. Anzi, il rischio che i dati dei mesi successivi siano ancora più bassi è reale. Risultato: tanti dei quasi mille organismi di conciliazione iscritti al registro del ministero della giustizia hanno chiuso bottega. I sopravvissuti, si stanno invece riorganizzando: chi chiudendo qualche sede perché non può più pagare affitti o mutui, chi licenziando personale. Anche perché in molti, sopravvalutando il business, hanno creato strutture elefantiache, con decine di sedi e migliaia di mediatori accreditati. I quali, ora che non hanno più mediazioni da seguire, non pagano più le quote di iscrizione. Questa la situazione che emerge dall’indagine condotta da ItaliaOggi Sette, che ha fotografato gli effetti della sentenza della Corte costituzionale sugli attori del sistema creato dalla riforma voluta e architettata dal ministero della giustizia, ora a rischio class action. Già, perché proprio in questo sistema sono stati investiti almeno 500 milioni di euro che, a meno di interventi del prossimo governo, se ne vanno in fumo. Ma vediamo meglio i numeri e le testimonianze raccolte.
Le strutture. Niente mediazioni, quindi, a fronte di organismi con centinaia, se non migliaia di mediatori iscritti. In As Connet se ne possono contare quasi 1.200, in MedArb più di 1.100, in Adr Conciliando oltre 800, i mediatori iscritti a Isco sono quasi 700, ad Anpar quasi 600. Andando a vedere l’elenco del ministero della giustizia, poi, non mancano le contraddizioni: Con & Form, con sede a San Severo, in provincia di Foggia, ha oltre 230 mediatori iscritti, Concormedia più di 160, 28 dei quali a Cicciano, un comune di poco più di 12 mila abitanti in provincia di Napoli.
Le testimonianze. Adr Conciliando seguiva tra le 400 e le 500 mediazioni al mese nel periodo dell’obbligatorietà. A gennaio ne ha protocollate dieci. Di conseguenza, ha dovuto licenziare due dei suoi quattro dipendenti. «Non possiamo mantenere questi costi sulla base delle entrate che abbiamo adesso», spiega Cira Di Feo, «in più, i nostri mediatori non sono interessati agli aggiornamenti, perché ormai quello della mediazione è visto come un settore in declino». MedArb, invece, è passata da circa 1.300 mediazioni seguite nel 2012 a tre nuove istanze raccolte nel 2013. «Stiamo valutando una class action», afferma Raffaele Barone, «abbiamo sedi in tutta Italia e pensiamo di chiudere alcuni sportelli. Ci siamo dati un anno di tempo per comprendere il nuovo panorama legislativo. Il problema è che per aprire un organismo e un ente di formazione abbiamo dovuto rispettare dei requisiti ben precisi previsti dalla legge, che richiedono però un certo tipo di investimento». As Connet ha gestito 2.500 mediazioni nel 2012. Nel 2013 ha aperto solo dieci procedure su base volontaria. In più, il 70% dei mediatori non ha rinnovato l’iscrizione. «Abbiamo mantenuto le postazioni», afferma Enzo Mauro. «Ci troviamo di fronte a un problema di gestione delle spese correnti, abbiamo dovuto licenziare personale e ridurre i servizi. Ci stiamo organizzando con gli altri organismi per fare causa allo stato».
La strada della qualità. Secondo Umi, l’Unione dei mediatori italiana nata nel dicembre scorso, il venir meno dell’obbligatorietà costituisce «l’opportunità di rilancio di un nuovo tipo di mediazione, di qualità superiore, fatta da mediatori di secondo livello certificati». Tra le altre cose, Umi sta promuovendo una convenzione con il Cup al fine di sviluppare un’attività capillare di formazione e sensibilizzazione sul tema della mediazione e della negoziazione.
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