Redditometro ad assetto variabile e con eccessiva discrezionalità. I contribuenti, oltre alle difficoltà di dimostrare la maggiore capacità contributiva, rischiano di vedersi calcolare il reddito sintetico con utilizzo degli importi più elevati tra quelli rilevati dall’Istat, risultanti da analisi e studi economici non ben definiti o dall’Anagrafe tributaria.
La pubblicazione del decreto dello scorso 24 dicembre ha innescato una serie di problematiche, inerenti alla determinazione del nuovo reddito sintetico, peraltro, applicabile a partire dal periodo d’imposta 2009 (si veda ItaliaOggi Sette del 7/1/2013).
Preliminarmente, sarà necessario attendere il consolidamento della giurisprudenza per comprendere se il nuovo redditometro integra una presunzione semplice, come stabilito dai giudici supremi recentemente (Cassazione, sentenza 23554/2012) per la versione previgente o una presunzione legale relativa; il punto è nodale per la necessità di stabilire l’attribuzione del carico dell’onere probatorio.
In effetti, stante la decorrenza del nuovo redditometro (2009) e la necessità di documentare gli acquisti, è di estremo interesse stabilire la tipologia della presunzione, proprio per verificare la modalità di utilizzo degli elementi indicativi di capacità contributiva nell’ambito dell’attività accertativa, ancorché la dottrina e l’attuale giurisprudenza propenda, sicuramente con riferimento al sistema previgente, a configurare la stessa come una presunzione semplice.
Come indicato, tre sono gli indici utilizzabili discrezionalmente dagli uffici dall’Amministrazione finanziaria per la determinazione sintetica del reddito che sembrano, addirittura, combinarsi tra loro o sostituirsi, nel caso in cui l’ammontare rilevato non risulti omogeneo; per esempio, la spesa per un capo di abbigliamento di un certo pregio potrà essere determinata sia per valori rilevabili da dati «disponibili» o presenti nell’Anagrafe tributaria, ma anche dai prezzi medi rilevati dall’Istat che, si spera, saranno contestualizzati dagli uffici accertatori.
Di conseguenza, l’unica salvezza, almeno per il futuro e paradossalmente, sembra quella della creazione di un «cospicuo» archivio documentale delle spese sostenute, almeno limitatamente ai periodi d’imposta ancora accertabili, tenendo conto che non sempre i documenti fiscali di certificazione del corrispettivo possono essere inequivocabilmente riferiti al bene-indice; si pensi all’acquisto dello stesso capo di abbigliamento di pregio per il quale viene emesso lo scontrino fiscale.
Con tutte le difficoltà già evidenziate, diventa di importanza fondamentale il contraddittorio che, con l’intervento del dl n. 78/2010, è divenuto obbligatorio, con il quale il contribuente potrà dimostrare l’incongruità delle spese a lui attribuite o la presenza di una diversa entità di disponibilità finanziarie.
Il comma 4, dell’art. 38, dpr n. 600/1973 ammette che quest’ultimo possa dimostrare che il finanziamento della spesa-indice possa essere sostenuto con redditi esenti, soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o esclusi legalmente dalla formazione della base imponibile, mentre il decreto in commento aggiunge la possibilità che la stessa spesa possa essere stata sostenuta con redditi diversi da quelli posseduti nel periodo d’imposta, prevedendo anche la possibilità di considerare, limitatamente agli incrementi patrimoniali, i disinvestimenti netti dei quattro anni precedenti.
Si aggiunge, inoltre, che il decreto del 24 dicembre ha reso possibile dimostrare anche il diverso ammontare della spesa sostenuta ma, in tal caso si riapre la problematica dell’ottenimento e archiviazione di tutti di documenti giustificativi della spesa, con l’ulteriore problematica del legame della pezza giustificativa al bene-indice utilizzato.
Peraltro, sul legame tra la spesa-indice e il reddito utilizzato per il sostenimento della spesa si pone anche il problema del collegamento temporale che, allo stato attuale, sembra disconoscersi dal tenore letterale delle disposizioni inserite nell’art. 38, dpr n. 600/1973 (redditi conseguiti nell’anno del sostenimento della spesa) ma che sembra applicabile, con numerose difficoltà, ai sensi della lett. a1), del comma 1, dell’art. 4 del decreto.
In sostanza, se il contribuente si è regalato un bel viaggio in Polinesia, notoriamente di costo elevato, l’ufficio accertatore potrà tenerne conto facendo riferimento ai valori rilevabili nelle tre modalità (Istat, Anagrafe tributaria o altri dati disponibili) ma il contribuente, chiamato al contraddittorio, potrà dimostrare che il pagamento è avvenuto con le giacenze di un conto corrente sul quale è stato staccato l’assegno.
Naturalmente, dovrà anche dimostrare che dette giacenze derivano da stratificazioni del risparmio nel tempo, oggi peraltro considerato anch’esso spesa-indice, o che le stesse sono state fortemente implementate, nel periodo d’imposta o in quelli precedenti, per effetto di donazioni o prestiti di amici o familiari o di disinvestimenti mobiliari e/o immobiliari.
Sul punto, posta la necessità di documentare l’entrata con le copie di assegni o bonifici rendendo sempre tracciabili i vari passaggi di denaro, diventa vitale poter dimostrare il collegamento e la congruità del maggior reddito disponibile rispetto alla spesa-indice sostenuta.
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