Dal 1° gennaio la patrimoniale sarà completa. La maxi-imposta di bollo sul deposito titoli diventerà infatti dell’1,5 per mille e non prevederà più alcun tetto. Una buona notizia per i conti dello Stato, un po’ meno per quelli dei risparmiatori. I quali dovranno fare i conti con le conseguenze della politica monetaria espansiva di Bce e Fed che terranno a lungo i tassi ai minimi per permettere agli Stati di superare l’impasse del debito.
Prima il governo Berlusconi e poi quello Monti hanno radicalmente cambiato il peso dell’imposta di bollo. Che è stata drasticamente aumentata ed estesa a quasi tutti i prodotti finanziari indipendentemente dal collegamento o meno con un deposito titoli: da un fisso di 34,2 euro si è passati a un’aliquota dello 0,1% per il 2012 (con un minimo a 34,2 euro e un massimo a 1.200 euro) e a una dello 0,15% senza alcun tetto dal 2013. Non sono soggetti a questa imposta fondi pensione, polizze Vita rivalutabili (ramo I) e fondi sanitari. Questa sorta di mini-patrimoniale invece non risparmia i conti di deposito ad alto rendimento, che d’altra parte sono stati avvantaggiati dall’abbassamento dell’aliquota fiscale sui rendimenti dal 27 al 20%, riduzione che ha interessato anche i conti correnti. «Il taglio dell’imposizione fiscale su conti correnti e conti deposito ha avuto un notevole impatto sul mercato della raccolta, soprattutto in quanto accompagnato dal parallelo aumento dell’imposizione fiscale dal 12,5 al 20% sugli altri strumenti di investimento, fra cui anche quelli a rischio ridotto, quali i pronti contro termine e in misura inferiore le obbligazioni», spiega Manfredi Urciuoli, direttore commerciale di ConfrontaConti.it (gruppo MutuiOnline). «In sostanza, gli strumenti di investimento a rischio ridotto hanno perso il vantaggio derivante dall’asimmetria fiscale rispetto ai prodotti di conto e le banche sono quindi corse a sviluppare prodotti di conto deposito e vincoli sui conti correnti o conti correnti ad alto rendimento da proporre ai risparmiatori in fuga dagli strumenti di investimento a basso rischio». È stata poi variata la modalità di calcolo dell’imposta di bollo per i conti correnti, che pagano ora 34,2 euro l’anno solo in caso di giacenze superiori a 5 mila euro.
«Questo intervento ha aumentato di molto l’imposta per i conti deposito e i dossier titoli, ma l’ha ridotta per i conti correnti, introducendo quindi un’asimmetria fra questi due prodotti», aggiunge Urciuoli. La novità ha prodotto due effetti evidenti. «I conti di deposito offerti da molte banche hanno smesso di far fronte al pagamento dell’imposta per conto dei propri titolari, mentre prima era la prassi». E stanno rinascendo i conti correnti ad alto rendimento, che erano quasi scomparsi. «Per cogliere l’opportunità dell’asimmetria fiscale molte banche hanno cominciato a sviluppare conti correnti alternativi ai conti deposito: conti correnti ad alto rendimento e conti che offrono linee vincolate ad alto rendimento, rileva Urcioli. «Alcune banche si sono spinte oltre, dismettendo i conti deposito e sostituendoli con conti correnti con caratteristiche simili e tutto lascia prevedere che saranno tante le banche che seguiranno questa strada nel prossimo futuro».
Per rispondere alla concorrenza quest’anno alcune banche hanno continuato a farsi carico della maxi-imposta di bollo sui conti di deposito, come emerge dall’analisi di ConfrontaConti.it. «Le banche che hanno continuato a far fronte all’imposta di bollo hanno cominciato a promuovere aggressivamente questa caratteristica», dice Urciuoli. Da sottolineare che alcuni conti prevedono un importo minimo di investimento (in media 5 mila euro) e un tetto massimo (di solito 1 milione). Dal canto suo Iwbank ha trovato una formula alternativa. I conti ad alto rendimento della famiglia IwPower non prevedono la super-imposta di bollo, perché tecnicamente non sono depositi indipendenti ma comparti collegati al conto corrente ordinario di Iwbank e in quanto tali la liquidità depositata si somma a quella sul conto corrente e sconta l’imposta di bollo fissa di 34,2 euro per giacenze medie superiore a 5 mila euro. A parte i conti di deposito, utilizzati come parcheggio, quest’anno soprattutto le private bank hanno utilizzato la pratica di pagare l’imposta di bollo sui dossier titoli degli investimenti per conquistare clienti. Un esempio su tutti è Banca Generali, che quest’anno ha offerto l’esenzione dal pagamento dei bolli sul deposito dei clienti che trasferiscono risparmi all’istituto o accentrano le proprie posizioni e sta valutando anche per il 2013 come continuare con opportune iniziative.
Infatti gli investitori si chiedono se gli istituti continueranno a pagare il bollo anche nel 2013, quando l’imposta diventerà senza limiti di importo. «Alcune banche hanno cominciato a fare promozioni e offerte che prevedono il pagamento dell’imposta di bollo sul dossier titoli da parte della banca, almeno per un periodo limitato di tempo», sottolinea Urciuoli. Ma si tratta perlopiù di offerte a scadenza, visto che dal 2013 non ci sarà più il tetto di 1.200 euro.
ConfrontaConti.it ha individuato i conti correnti in cui la banca si fa carico dell’imposta di bollo sul deposito titoli. Da questa elaborazione emerge che le proposte degli istituti sono tutte a tempo. Per esempio, il conto Youbanking (Banco Popolare) la prevede gratis per tutti fino al 30 giugno 2015. Più complesse sono le condizioni previste da Banca Fineco per il Conto Fineco: in questo caso il correntista deve attivare il servizio del prestito titoli oppure deve trasferire a Fineco almeno 20 mila euro in titoli, fondi o nuova liquidità. Il problema è infatti che soprattutto per i capitali di piccole dimensioni le banche non hanno convenienza a pagare il bollo. Gli istituti specializzati in private banking potrebbero invece continuare a pagare al cliente l’imposta di bollo magari per conquistare o mantenere la gestione di un grande patrimonio. Ma qui tutto dipende dal potere contrattuale del cliente. Se il contribuente ha più conti presso lo stesso intermediario o esistono più depositi titoli intestati al medesimo soggetto, l’imposta di bollo deve essere corrisposta in relazione a ciascun rapporto. La questione diventa molto rilevante ai fini dell’applicazione della tariffa da applicare. Nel caso di depositi intestati a più soggetti, in relazione ai quali viene emessa un’unica comunicazione, l’imposta deve essere assolta una sola volta. Il caso tipico è quello relativo a un conto cointestato a marito e moglie oppure a genitori con uno o più figli. L’oggetto dell’imposta è il deposito e non la persona fisica. La riforma Monti ha toccato anche i prodotti di risparmio postale. I rendiconti dei libretti postali sono assoggettati con periodicità annuale a un’imposta di bollo di 34,20 euro se il cliente è persona fisica e la giacenza media annua è superiore a 5 mila euro, come per i conti correnti. Mentre gli interessi maturati sui buoni fruttiferi postali scontano un’aliquota fiscale del 12,5%. I buoni sono esenti da imposta di successione e sono assoggettati a imposta di bollo dello 0,10-0,15%. Sono esenti i buoni di valore di rimborso sotto i 5 mila euro (si sommano tutti i buoni intestati al risparmiatore) a eccezione di quelli emessi in forma cartacea prima del 2009. Inoltre i buoni postali, assieme alle polizze unit, alle index linked e quelle a capitalizzazione (ramo V), scontano l’imposta di bollo ma al momento del rimborso o del riscatto, mentre le polizze legate alle gestioni separate (ramo I) sono esenti. Se si passa dai parcheggi al risparmio gestito, va rilevata un’altra novità, questa volta dovuta alla Corte di Giustizia europea. Una sentenza ha infatti stabilito che si dovrà pagare l’Iva del 21% sulle commissioni delle gestioni patrimoniali individuali. È stato previsto che anche per le polizze estere le compagnie ogni anno dovranno versare all’Erario lo 0,35% dello stock di riserve accumulate. Bordata dopo bordata, la sfilza d’interventi fiscali sulle rendite ha creato anche non poche distorsioni nel mercato dei prodotti finanziari. Per esempio, sono diventate fiscalmente più convenienti le polizze Vita tradizionali che non sono soggette all’imposta di bollo, come i fondi pensione che restano uno dei pochi prodotti non tartassati dal fisco, mentre i fondi comuni potrebbero essere favoriti dall’introduzione dell’Iva sulle commissioni delle gestioni patrimoniali, ultimo balzello anti-rentier, introdotto con il ddl Stabilità.
La stessa normativa ha introdotto la Tobin Tax sulle azioni emesse da società residenti in Italia, sui derivati azionari, esclusi quelli di copertura e le operazioni effettuate ogni mezzo secondo. Ne sono esenti fondi pensione e fondi etici. Il problema per i Paperoni è che nessuno se la sente di scommettere che sia finita qui. Il timore è che dai singoli prodotti si passi a tassare il patrimonio complessivo. Lo spettro è l’Isf francese, l’imposta patrimoniale progressiva a scaglioni che prevede aliquote dallo 0,55% all’1,8% e riguarda il patrimonio complessivo. Se dovesse essere introdotta anche in Italia, l’unico modo di dribblarla sarebbe privarsi dell’intestazione dei beni. Qui entra in gioco il trust, istituto ancora poco conosciuto in Italia, che premette di segregare il patrimonio trasferendolo a un terzo soggetto, ossia il trustee. In ogni caso oggi in Italia è già possibile utilizzare il trust come strumento di pianificazione fiscale perché i suoi redditi hanno un regime più conveniente: pagano l’imposta Ires con aliquota del 27,5%, mentre per le persone fisiche l’aliquota dell’imposta sui redditi è progressiva e arriva al 43% ed è anche prevista l’esenzione del 95% dei dividendi trasferiti da società di cui il trust è socio. (riproduzione riservata)