Donne in pensione a 57 anni e tre mesi dal prossimo anno. Optando per il calcolo contributivo della pensione, infatti, le lavoratrici (classe 1956) potranno anticipare l’uscita dal lavoro in presenza di 35 anni (almeno) di contributi. Con il 1° gennaio prenderà il via l’ultimo triennio di operatività della via d’uscita prevista dalla riforma Maroni che consente alle donne di andare in pensione all’età di 57 anni e tre mesi se dipendenti, ovvero di 58 anni e tre mesi se autonome.
Donne, uscita anticipata.
La riforma Maroni delle pensioni (legge n. 243/2004) aveva previsto, in via sperimentale, dal 1° gennaio 2008 al 31 dicembre 2015, che le lavoratrici in possesso di almeno 35 anni di contributi e un’età di 57 anni, se dipendenti, ovvero di 58, se autonome, potevano accedere alla pensione di anzianità, a condizione di scegliere di averla liquidata con il sistema contributivo. Tale opportunità è sopravvissuta alla riforma Fornero, per cui ancora oggi e fino al 31 dicembre 2015 le lavoratrici possono optare per la liquidazione della (vecchia) pensione di anzianità, in base ai predetti requisiti aumentati della speranza di vita di tre mesi e a condizione di avere la pensione calcolata con il sistema contributivo. L’opzione è possibile a patto che la decorrenza della pensione si collochi entro il 31 dicembre 2015, tenendo cioè conto delle finestre che in questo caso continuano ad applicarsi. L’opzione risulta sicuramente meno vantaggiosa del retributivo, e può comportare una perdita in termini di pensione stimabile attorno al 20-25%. Però se una volta, quando l’età per la pensione della vecchiaia era fissata a 60 anni, si poteva essere d’accordo che non valeva la pena accettare la riduzione dell’assegno di pensione per anticipare un paio d’anni il ritiro dall’attività, ora, con l’età salita a 62 anni e 3 mesi (e continuerà a salire), la possibilità di lasciare a 57 anni e 3 mesi d’età (58 anni e 3 mesi le autonome) va valutata con maggiore attenzione.
Salvo chi ha maturato la pensione entro il 2011. Occorre ricordare, inoltre, che le novità sulle pensioni non toccano i lavoratori che hanno maturato entro il 31 dicembre 2011 i requisiti di età e di anzianità contributiva, previsti dalla normativa vigente a tale data (cioè in base alle regole previgenti alla manovra Fornero). Questi lavoratori, infatti, conseguono il diritto alla pensione secondo la vecchia normativa e possono chiedere all’ente previdenziale cui appartengono (Inps, Inpdap ecc.) la certificazione di tale diritto.
La totalizzazione retributiva. Da ricorda, infine, che la legge di Stabilità ha inventato la totalizzazione retributiva. Con la novità interessante dell’estensione generalizzata a tutti i lavoratori, inclusi quelli della gestione separata (co.co.co. ecc.), l’invenzione cerca di mettere riparo alle vicissitudini di circa 610 mila lavoratori che hanno perso il precedente treno della ricongiunzione contributiva. Questa nuova totalizzazione retributiva dà diritto alla pensione di vecchiaia, in base ai requisiti della riforma Fornero (si veda tabella in altra pagina con i requisiti per l’anno 2013), in più quote di pensioni, tutte calcolate con il sistema retributivo, da parte dei diversi istituti di previdenza presso i quali sono stati versati i contributi. La nuova totalizzazione fa conservare il diritto al calcolo retributivo della pensione, tuttavia, il calcolo avverrà per quote differenti, da parte dei singoli enti di previdenza, «sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento». Il che significa, per esempio, che potrà capitare che una quota di pensione venga calcolata con riferimento a stipendi incassati molti anni prima (quindi d’importo più bassi), a differenza della vecchia ricongiunzione in base alla quale tutta la pensione era calcolata sulla media delle retribuzioni degli ultimi anni.
© Riproduzione riservata